Secondo appuntamento con la rubrica nuova nuovissima Books in the Kitchen.
In questa sede non poteva mancare uno dei romanzi più famosi degli ultimi anni, dal titolo perfetto per il nostro viaggio letterario-culinario. L’inconfondibile tristezza della torta al limone, pubblicato nel 2011 da Minimum Fax, è un romanzo singolare, che si rifà al realismo magico in chiave anglosassone ottenendo una sorta di surrealismo melanconico venato di simbolismo.
Tutto parte da quel giorno in cui la mamma di Rose, la protagonista, le prepara per il suo compleanno la torta che più ama, quella al limone con copertura di cioccolato bianco. Al primo morso Rose viene sommersa da una struggente tristezza, un sentimento che non le appartiene ma che proviene dalla sua mamma, scoprendo così segreti e misteri di una famiglia apparentemente felice. Quello sarà l’inizio ci un percorso tra cibo, umori, emozioni, sapori e sensazioni. Uno sguardo intimo e malinconico sulla realtà che si rivela tramite la magia, un scrittura affascinante e appassionata che racconta una storia delicata e fantastica. Ho apprezzato molto l’idea che Rose potesse intuire la verità di una persona dal cibo, per quanto questo “superpotere” la porti spesso a soffrire; tuttavia la tesi ala base del romanzo è in fondo veritiera: ognuno di noi, nel creare qualcosa con le proprie mani, ci mette del suo, un pizzico di anima, soprattutto quando si tratta di cucina e prelibatezze, e la persona attenta se ne accorge ed è come se vi conoscesse un po’ di più rispetto a prima di aver assaggiato i vostri piatti. L’ingrediente segreto di ogni ricetta siamo noi.
L’unica nota dolente del libro è, forse, il finale, confuso e sbrigativo, che avvolge l’intera vicenda in un senso di incompiuto che, dopo tutta la magia e l’incanto, lascia il lettore un po’ a bocca asciutta. Ciononostante, ho apprezzato molto lo stile dell’autrice, Aimee Bender, la sua scrittura avvolgente e fluida, la capacità sapiente di mescolare la quotidianità con un pizzico di fantasia, una marca distintiva della scrittrice che è possibile ritrovare anche nei suoi bellissimi racconti raccolti in La ragazza con la gonna in fiamme.
Il passaggio che vi propongo di L’inconfondibile tristezza della torta al limone è proprio quello della torta del titolo. Siamo all’inizio del libro e Rose sta per scoprire la verità sulla sua natura, ma per il momento segue curiosa e felice la mamma armeggiare in cucina per preparare il dolce per il suo compleanno.
È successo la prima volta di martedì pomeriggio, un caldo giorno di primavera sui pianori nei dintorni di Hollywood, dove una leggera brezza spirava verso est dall’oceano scompigliando i petali delle viole del pensiero da poco piantate nelle nostre cassette per i fiori. Mia madre era a casa, mi stava preparando un dolce. Mentre risalivo saltellando il vialetto d’ingresso mi aprì la porta prima che arrivassi a bussare. Che ne dici di una seduta di allenamento?, mi chiese, sporgendosi oltre lo stipite della porta. Mi attirò a sé per un abbraccio di benvenuto, stringendomi al grembiule che mi piaceva di più, quello di cotone un po’ consumato con coppie di ciliegie disegnate lungo gli orli. Sul piano di lavoro in cucina aveva preparato gli ingredienti: il sacchetto della farina, la scatola dello zucchero, due uova marroni sistemate sulle scanalature tra le piastrelle. Un panetto giallo di burro che si sfaceva agli spigoli. Una coppetta di vetro con le scorze di limone. Passai in rassegna lo schieramento. Era la settimana del mio nono compleanno, e a scuola era stata una lunga giornata di lezioni di calligrafia, che detestavo, e di proteste in cortile sul conteggio dei punti, e la cucina piena di luce e gli occhi affettuosi di mia madre erano braccia accoglienti, aperte. Ficcai un dito nel sacchetto cerato dei cristalli di zucchero di canna e mormorai sì, magari, sì. Lei disse che ci sarebbe voluta più o meno un’ora, così tirai fuori il libretto di ortografia. Posso dare una mano?, domandai, disponendo i fogli e le matite sulle tovagliette di plastica.
Eh no, rispose mamma, mescolando la farina e il bicarbonato.
Il mio compleanno è in marzo, e quell’anno cadeva in una settimana di primavera particolarmente luminosa, vivida e serena tra le anguste vie residenziali dove abitavamo, una manciata di isolati a sud di Sunset Boulevard. Il gelsomino notturno che si arrampicava sulla porta principale del nostro vicino emanava al crepuscolo il suo profumo inebriante, e verso nord le colline si dipanavano aggraziate lungo l’orizzonte, con le case accucciate in tutto quel bruno. Presto sarebbe arrivata l’ora legale e già allora, a neanche nove anni, collegavo il mio compleanno alle prime tracce dell’estate, alla sensazione delle finestre aperte in classe, degli indumenti più leggeri e, nel giro di pochi mesi, basta compiti. Mi si schiarivano i capelli in primavera, da castano chiaro a quasi biondo, quasi come la mèche sulla coda di mia madre. Nei giardini del quartiere le piante di agapanto cominciavano a metter fuori i lunghi steli da robot che si sarebbero schiusi in azzurri e viola delicati. Mamma sbatteva le uova; setacciava la farina. Aveva messo da parte una coppa con la glassa al cioccolato, e un’altra con la codetta arcobaleno. Un impegno del genere per una torta non era cosa da tutti i pomeriggi; mia madre non faceva dolci tanto spesso, ma le attività che le davano più piacere erano quelle che coinvolgevano il tatto, e questo dolce costituiva soltanto uno di una lunga serie di svariati esperimenti che aveva voluto, per così dire, tentare di prima mano. […] Leggevo il mio libro di ortografia: notte, note, noto; capriolo, capriola, carriola. Sul piano di lavoro, mamma versava la densa pastella gialla in una teglia da dolci imburrata, e pareggiava la superficie con il lato piatto di una spatola di plastica rosa. Controllò la temperatura del forno, si scostò una ciocca sudata dalla fronte con il polso piegato. Via che si parte, disse, infilando la teglia nel forno. Quando alzai lo sguardo si stava strofinando le palpebre con i polpastrelli. Mi mandò un bacio e disse che andava a buttarsi sul letto per un po’. Ok, feci segno annuendo. Due uccelli lì fuori bisticciavano. Sul libretto scelsi la persona che faceva una capriola e le colorai i lacci delle scarpe di rosso, la faccia di arancio chiaro. Feci il giuramento che in cortile avrei fatto rimbalzare la palla più forte, e l’avrei mandata proprio nell’angolo di Eddie Oakley. Aggiunsi a mano libera qualche mela nella carriola. […] La stanza si riempiva del profumo di burro e zucchero e limone e uova che si riscaldavano, e alle cinque il timer suonò, così tirai fuori il dolce e lo posai sui fornelli. La casa era silenziosa. La coppa con la glassa al cioccolato era proprio lì sul piano di lavoro, pronta per l’uso, e i dolci sono al massimo appena usciti dal forno, e davvero io non potevo proprio aspettare, così allungai la mano verso un lato della teglia, il lato meno in vista, e staccai un pezzetto caldo e spugnoso di oro brunito. Lo ricoprii completamente con il cioccolato. Me lo infilai tutto quanto in bocca.
Per la torta al limone ci sono più varianti e mille ricette. C’è chi la fa con la crema in mezzo, chi a mo’ di crostata, ecc… la ricetta che ho scelto permette di realizzare una soffice lemon cake che può essere liberamente guarnita con la crema, mangiata da sola o con la copertura al cioccolato bianco come la mamma di Rose. Ho provato a fare la copertura al cioccolato bianco ma non mi è piaciuta, troppo pesante per i miei gusti, così ho preparato una seconda torta e l’ho cosparsa con il crumble prima della cottura. Naturalmente vi lascio anche gli ingredienti per la copertura nel caso vogliate provare…
L’inconfondibile Torta al Limone
- 80gr di burro
- 100 gr di zucchero
- 1 bustina di lievito vanigliato
- scorza grattata e succo di due limoni
- 250 gr di farina
- un pizzico di sale
- 1/2 bicchiere di latte
- 3 uova
Per la copertura:
- 250 g di mascarpone
- 100 ml di panna montata
- buccia grattata di 1 limone
- 2 cucchiai di zucchero a velo
- 100 gr. di cioccolato bianco
(Alternativa Crumble: Farina 50 gr., Zucchero di canna 40 gr., Burro freddo da frigorifero 30 gr.)
Per la torta, cominciate a unire zucchero e burro ammorbidito, poi le uova e il latte a filo. Mescolate fino a ottenere un composto omogeneo, poi aggiungete la farina poco alla volta per non formare grumi, aggiungete il lievito, mescolate di nuovo e aggiungete il limone e il pizzico di sale e infine mescolate di nuovo. Se vi va, potete aggiungere anche qualche goccia di estratto alla vaniglia.
Imburrate e infarinate una teglia (20 cm) e versate il composto all’interno. Infornate a 180° per 25 minuti circa.
Per la copertura mescolate con le fruste la panna montata, il mascarpone, lo zucchero a velo, il cioccolato bianco sciolto prima in un pentolino, la buccia del limone. Stendete la glassa sulla torta e mettete in frigo. Servitela poi con una tazza di tè.
L’alternativa, che come vi dicevo prima è quella che preferisco, sarebbe sostituire la glassa al cioccolato e mascarpone con un semplice crumble. Prendete una ciotola e al suo interno versate farina, zucchero di canna e burro ammorbidito e cominciate a lavorare il composto con le mani. Sgranatelo bene, in modo da ottenere delle briciole e cospargetele sulla torta prima di metterla in forno. Semplice e buonissimo!
Buon appetito e buone letture!