Siedo di fronte ad un giovane uomo che parla al telefono. La sua voce è impostata, carica di seriosità. Forse sta avendo una telefonata di lavoro. Dà del lei, annuisce, gesticola un po’ ma non troppo, alza gli occhi al cielo come se, dall’altro capo, qualcuno stesse dicendo una sciocchezza. Lo fa alcune volte cercando di dissimulare il proprio disappunto. Sta facendo tante cose contemporaneamente: il telefono tra la spalla e l’orecchio, le dita che sfiorano i tasti del laptop e smistano gli appunti che occupano gran parte del tavolinetto e del sedile di fianco. Smette di scrivere al pc per qualche secondo, dedicandosi alla ricerca di un evidenziatore nell’Eastpack grigio scuro e inizia a sottolineare parti importranti su uno dei fogli che cerca di tenere fermo. Termina la conversazione salutando educatamente e rispettosamente. Sembra spossato. Mi fissa e mi saluta. Io ricambio il saluto non più usuale anche per chi viaggia a pochi centrimentri di distanza. Fissa per qualche secondo il vuoto. Non ha il tempo di appoggiare il busto allo schienale, quando un’altra telefonata è in entrata. Guarda lo schermo e sorride. Risponde con un fragrante ”hi mate!”. È radioso, dice che non vede l’ora di incontrare la persona con la quale sta parlando. Si capisce che è felice. Molto felice. Cambia anche modo di parlare. La voce, da impostata diventa amichevole, simpatica, affettuosa. Parla di Fede, Ale, Kenzy, Fu, Laura e Becca, di ristoranti, di club e di Oyster card. Parla con un leggero accento di Sua Maestà, dato forse dalla frequentazione della City o di qualche anno di studio nel Paese di Elisabetta. Continua la telefonata e nel frattempo riordina gli strumenti di lavoro. Tutto viene ordinatamente riposto nello zaino. Alcune cose ritirate fuori, girate nel verso giusto e riposte un’altra volta. Sembra che ogni oggetto debba avere un suo ordine e un suo verso. Potrebbe risultare super pignolo, super ordinato, super puntiglioso. A me sembra che abbia trovato un proprio equilibrio nell’avere tutto in perfetto ordine. Il suo ordine. Amici psicologi potrebbero definirlo maniaco compulsivo. Una forma lieve però. Con voce piena di affetto continua a programmare il weekend che sta per arrivare. Termina la telefonata con un ”already miss you all. ciao”. Il treno è quasi entrato in Porta Nuova. La città della Mole è buia. Il suddito di Betta finisce di ritirare le restanti cose. Tra queste rimane un libro che ha segnato positivamente il mio essere adolescente, il mio essere uomo, il rapportarmi con la società e il rapportarmi con me stesso. Vorrei dire al mio amico viaggiatore quanto Il signore delle mosche di William Golding è stato importante per me. Non ho il tempo perché riceve un’altra telefonata. Lo saluto e mi allontano. Il suo sorriso a quell’ultimo ”hello!” è l’arrivederci piú bello.
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