Magazine Hobby
Un altro aspetto dell'anima dei Tarocchi èche non la puoi definire. Si rimane semplicemente ad ascoltare il Delirio delle tante scritture. Noi e il vento. «Non vedeste – in quell'attimo – alcuna figura»(Deut. 4.15). Jorge Luis Borges (1899-1986) Èil paradosso delle carte, degli Arcani dei Tarocchi: produrre così tanta «capacitàdi visione», così tanto e tanto sapere messo sotto alcune semplici figure, da risultare il tutto semplicemente caleidoscopico e camaleontico. Irraggiungibile.Ma come nel racconto di Borges, La scrittura del dio, il personaggio di Tzinacàn, mago della piramide di Qaholom, arriveremo presto a porci il dubbio: che una sentenza nei tarocchi èsempre scritta. Non èancora tutta la verità– nemmeno per Borges che scrive la frase all'inizio di un racconto pieno di autentiche rivelazioni. Non lo èperchél'incipit dice un “Forse”.“Forse nel mio volto era scritta la magia, forse io stesso ero il fine della mia ricerca” (J.L. Borges,L'Aleph)Già, ècosì. A tale significato lasciano presagire i tarocchi: “ciascuno di noi èil fine della propria ricerca”. Non lo sappiamo ancora fino in fondo. Del resto tutto ciòci sfiora, cosìvicino da sembrare “noi”, proprio io e tu, tu ed io, anima del tarocco. Che rispecchia te. Nella più viva essenza di te. Resta un “Forse”, come detto, un anelito, uno spazio che il Tarocco riempe con la sua inesauribile creatività, molto simile al linguaggio di un dio. Multi – strato, multi – evento, molte volte diverso. Sei di nuovo tu? Sono io? Noi? “Considerai che nel linguaggio di un dio ogni parola deve enunciare questa infinita concatenazione di fatti, e non in modo implicito ma esplicito, non progressivo ma immediato.”“Un dio – riflettei – deve dire solo una parola, e in quella parola la pienezza.”“Ombre o simulacri di quella voce che equivale a un linguaggio, sono le ambiziose e povere voci umane tutto, mondo, universo.” (J.L. Borges, Ivi)Delirio – ripeto – delle scritture.Più nessuna figura rende il senso. Tutte però confermano un linguaggio.