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Borgo Pliss (21): A Malebolgia

Creato il 06 marzo 2012 da Mcnab75

Borgo Pliss (21): A Malebolgia

26 settembre

In realtà non è proprio una svastica, visto che gli uncini ricurvi formano un cerchio attorno a essa. Quel che ne risulta sembra più il simbolo il simbolo degli X-Men, ma i richiami al Partito Nazionalsocialista sono comunque evidenti.

«Perché non mi avete detto che Malebolgia è gestito dai cazzo di nazisti?», sibila Massimo mentre risalgono il fossato.

«Io non ne sapevo nulla», bofonchia Danilo. «Da quando son qui non ho visto una sola battaglia tra la comunità del Sindaco e quella della Signora. Ho sentito parlare di incursioni, spie, tentativi d’intrufolarsi al Principessa, ma nulla di concreto…»

White nemmeno si degna di rispondere.

Una volta sulla strada Massimo rimane colpito dall’atmosfera di estrema normalità del quartiere. Tranne i bastioni che ha alle spalle, non sembra un paesaggio tanto diverso da quello in cui vivono gli uomini del Sindaco. Non pensava di entrare a Mordor, però non credeva nemmeno di trovare un placido rione addormentato.

«Continuate a seguirmi senza far casino», li avverte Maschera Bianca. «Il mio contatto vive a circa venti minuti da qui. Non credo che incontreremo qualche abitante del posto ma state in campana.»

Camminano attraverso strade vuote e palazzi bui. Le differenze col quartiere abitato dai seguaci della Cerchia di Pliss sono davvero poche. Il che, tra l’altro, non fa che aumentare i dubbi e le perplessità di Massimo. Secondo ciò che gli è stato detto, a Malebolgia vivono all’incirca sessanta individui, di cui una ventina fanno parte dell’entourage di Gustav Pliss, che nel ’39 si trovava a Milano per cercare di strappare l’eredità dello zio dalle mani del Sindaco.

A questo punto pensa che potrebbe trattarsi di un plotone di SS sotto falsa identità, magari dell’Ahnenerbe. L’idea di trovarsi davanti quei fanatici spaventa lo scrittore quasi più della prospettiva di incontrare una vera gorgone.

Il quartiere è un curioso mix architettonico tra la Milano vecchia e la Vienna di inizio ’900. Immaginare il Borgo come un’entità senziente e polimorfa non gli pare più tanto assurdo.

White li fa fermare davanti una una casa a due piani, all’angolo di una via alberata percorsa dai binari del tram. Sembra l’ennesimo angolo disabitato del Borgo, ma il vigilante mascherato bussa in modo ritmico alla porta il legno lavorato. Dopo un minuto scarso qualcuno apre. È una donna sui trenta, lunghi capelli castani, pelle diafana e occhi color smeraldo. Una sorta di Marlene Dietrich molto meno androgina.

La tipa strabuzza gli occhi, osserva i nuovi arrivati e si stringe nella vestaglia di seta. «Cosa significa questo, Trevor?», si rivolge a White in un italiano dalla spigolosa pronuncia teutonica.

«Facci entrare Maria. Abbiamo importanti novità. Importanti per tutti.»

La donna si fa da parte e li lascia entrare. La sua casa è arredata con lo stile borghese degli anni ’30, che Massimo ha imparato a conoscere da tanti film. Li fa accomodare in un soggiorno illuminato da un’abat-jour schermata da un telino verde. La donna però non si siede. Guarda White, aspettando una spiegazione.

«Forse sappiamo come andarcene», esordisce il vigilante. Quindi inizia a spiegare.

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