“Sono tre anni che è finita la guerra, ma questa gente di contenuti nuovi non ha ancora riempito né le menti né le cose”. È una delle frasi pronunciate dal protagonista de La villa del lago, al suo ritorno nei luoghi dove ha combattuto durante il secondo conflitto mondiale. Nello specifico, il paese che ospitò la residenza del dittatore Mussolini. Lui ora è architetto, si sente ancora un esule dalla vita, condizione causata anche dalle origini slovene. L’incontro con la natura splendida, con le persone che lo hanno conosciuto gli fa capire che i sentimenti di benevolenza verso il dittatore non sono cambiati, che gli animi non hanno metabolizzato alcuna riflessione su quanto accaduto. Per fortuna, a volte i vuoti che si aprono con le guerre, possono cicatrizzarsi grazie all’incontro con qualcuno…
La prosa di Pahor e luminosa e di grande spessore, il tono ricorda i “ritorni” dei personaggi di Pavese, il messaggio che il grande autore trasmette al lettore è comunque di speranza verso una ricostruzione delle coscienze.
Boris Pahor, La villa sul lago, Zandonai
A tre anni dalla fine della guerra, un architetto sloveno di Trieste – alter ego dell’autore – decide di far ritorno al paesino sulle rive del lago di Garda in cui aveva fatto il militare prima di essere catturato dai nazisti e internato nei campi di sterminio. Mirko ricerca i luoghi e i personaggi di un tempo, perché ha bisogno di convincersi di essere realmente sopravvissuto alla barbarie, ma scopre che l’assurdità e il vuoto del Dopoguerra ancora ristagnano nella mente di chi ha subìto la dittatura per vent’anni. E in quel luogo idillico dove fioriscono i limoni e prosperano i vigneti, l’alito del male e dell’insensatezza spira emblematicamente dalle mura della splendida villa che fu dimora del Duce durante la Repubblica di Salò.
Questo romanzo, forse il più luminoso dell’opera di Pahor, conferma l’incrollabile fede dello scrittore nella possibilità di rinascita dopo il massacro e nella forza rigeneratrice dell’amore. Al pari di Mirko anche Luciana, giovane operaia educata al culto dell’idolo fascista, è vittima della Storia; sarà l’amore ad aprirle gli occhi, ispirandole uno straordinario gesto di coraggio che la renderà adulta e libera nel corso di una sola notte.
Boris Pahor (1913), autentico patriarca della letteratura slovena e, per le sue coraggiose prese di posizione contro ogni forma di totalitarismo, punto di riferimento per più di una generazione di intellettuali e scrittori, vanta una vasta produzione letteraria, sempre animata dalla difesa della dignità della persona e delle identità nazionali e culturali. Dell’autore Zandonai ha pubblicato i romanzi Il petalo giallo (2007) e Una primavera difficile (2009) e la raccolta di racconti Il rogo nel porto (2008
“Lui le sorrise e sentì che gli si diffondeva in tutto il viso la silenziosa contentezza di chi sa che le parole disturbano e allontanano soltanto. Più di ogni cosa avrebbe desiderato esclamare: Su guidami! Cerchiamo insieme un giardino dove celare l’intenso turbamento che si sta impossessando di noi; non siamo forse due viandanti d’amore che provengono da due paesi molto lontani? Tu tessi ogni giorno il bianco lino perché i corpi umani non soffrano il freddo, io per quei corpi costruisco case. Abbiamo dunque il diritto di incontrarci e di vivere un istante di felicità. La grande assurdità postbellica aleggia ancora nell’aria, quel vuoto continua a incombere sugli uomini ma noi due lo disperderemo, come il vento disperde la nebbia; nel mezzo di una verde e fresca radura pianteremo un albero d’arancio primaverile, perché splenda come un piccolo sole su noi e su tutto il mondo. “