Boris Vian, il sorriso di un genio incompreso

Creato il 01 giugno 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Ma si trovò presto una soluzione dato che il genio dell'uomo ha infinite forme, e quando la nebbia si dissolse, come indicato da speciali apparecchi rilevatori, la vita poté riprendere felicemente, perché tutti si erano ormai cavati gli occhi.

da L'amore è cieco, in Le loup-garou et autres nouvelles

La troppo breve vita del principe di Saint-Germain-des-Prés ha inizio nel 1920 in una splendida villa dove vive circondato da agi, molto affetto, fiumi di musica. Il nome di battesimo, d'altronde, gli deriva dall'opera Boris Godunov che la madre Yvonne, melomane, predilige.

Il destino però segna l'esistenza del piccolo Boris che, a dodici anni, contrae una grave malattia reumatica con gravi complicanze cardiache: apprensiva e possessiva, la madre (non per caso soprannominata "Chioccia") crea attorno a lui e ai fratelli un mondo parallelo, chiuso, consacrato alla musica e ai giochi letterari. Nella villa fatata non si parla di politica né di religione e regna un antimilitarismo diffuso che si ritroverà in seguito in molti scritti di Boris.

L'infanzia protetta -quasi reclusa- lascerà per sempre un alone di incancellabile gioventù intorno a Boris, nonostante i suoi studi di ingegneria, nonostante i suoi innumerevoli scritti, nonostante la musica. Già, la musica: Boris si lascia affascinare dagli acuti richiami della tromba, che studia con passione, entrando a far parte a soli diciassette anni al Jazz Hot de France, la prima organizzazione francese per la diffusione e lo studio del jazz.

Con una serie di formazioni, anima le serate nelle caves di Saint-Germain-des-Prés, quartiere elettivo per la gioventù dell'immediato dopoguerra, che lo nomina tra i suoi Principi protettori (in compagnia di mostri sacri della canzone come Henri Salvador, Serge Gainsbourg, Charles Aznavour e Jacques Brel). Boris ne resterà il cantore anche quando i suoi problemi cardiaci lo costringeranno a smettere di suonare, con la stesura di centinaia di articoli tecnici per riviste musicali internazionali e di quasi cinquecento canzoni. La più famosa di queste, Le déserteur, gli causò non pochi guai giudiziari (oltre alla censura) poiché nel 1954 diceva al Presidente francese più o meno questo:

Domani mattina presto/chiuderò la porta sulla faccia degli anni morti [...] e andrò a dire alla gente/rifiutate di obbedire/rifiutate di farla/non andate in guerra. [...] Signor Presidente,/ se mi perseguirete/avvisate i vostri gendarmi/ che io non avrò armi/ e potranno sparare.

Tuttavia il cuore malaticcio del principe Boris (conosciuto anche, con meno eleganza, come Docteur Gédéon Molle o Bison Ravi) è ammalato anche di quel morbo gravissimo che è la letteratura: nei brevi anni della sua esistenza scrive centinaia di articoli, pièces teatrali, raccolte di poesie, racconti e sceneggiature cinematografiche. E una decina di romanzi, non sempre sotto lo stesso nome. Ma in qualunque campo, lo stile di Vian è unico: sembra voler reinventare il mondo attraverso un linguaggio che sfasa la realtà, sfaccettandola attraverso un prisma deformante. Questo, insieme al suo bizzarro e scandaloso train de vie, renderà difficile il suo rapporto con la critica e le grandi case editrici.

Uno dei suoi romanzi più conosciuti, Sputerò sulle vostre tombe, un polar molto nudo e molto crudo, è scritto per scommessa sotto le mentite spoglie di Vernon Sullivan. Pubblicato e stravenduto, sarà ovviamente causa di grande scandalo: tacciato di offesa alla morale pubblica, censurato, Sullivan/Vian è annientato dalla critica e non si libererà mai più dall'ombra del suo "doppio". L'ingiusta sorte di un quasi oblio toccherà per questa ragione ai suoi romanzi più importanti: La schiuma dei giorni, surreale, poetica e struggente storia d'amore, tra le più toccanti mai scritte, divenuta, anche per la ricchezza creativa e destrutturante insieme del linguaggio, manifesto di modernità per la gioventù francese degli anni '60.

A causa della "reputazione" che gli rimarrà addosso come un odore sulfureo, e nonostante i suoi continui tentativi di dimostrare di essere un vero scrittore, il genio eclettico di Boris Vian sarà riconosciuto solo dopo la sua morte, quando il "personaggio" Vian avrà smesso di far baccano e solo le pagine dello scrittore parleranno.

Forse mortalmente annoiato dalla visione delle prime scene del film tratto dal romanzo del suo odiato alter ego Sullivan, Boris Vian sceglierà di fuggire nel buio della sala di proiezione a 39 anni soltanto, una ninfea bianca sbocciata all'improvviso nel suo cuore ballerino.

Francesca Schipa

(Nota: le traduzioni sono a cura dell'autrice)


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