Borsa e futuro, il Cap and Trade System e il mercato delle emissioni

Creato il 21 dicembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Si può pensarla come si vuole sul mercato e le sue leggi.

C’è chi esagera da un lato, ritenendo il meccanismo una semplice stortura capitalista e chi esagera dall’altro, osservando ogni cosa con la lente del commercio.

Ciò che è certo è che spesso il sistema integra alla perfezione alcuni aspetti della nostra società e della nostra vita, senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

Questo è il caso del Cap and Trade System e del relativo mercato delle emissioni.

Parliamo di un mercato che non tutti conoscono, ma chi si occupa di finanzia ed economia aziendale sta imparando a conoscere molto bene.

Il sistema del cap and trade è attivo, in Italia, dal 2003. I dati dei prossimi anni ne prevedono una espansione esponenziale.

Il concetto del cap and trade, nelle sue linee guida, è molto semplice. Il protocollo di Kyoto è noto per lo slogan 20 20 20. Questa serie numerica corrisponde a null’altro che un’obiettivo: ridurre del 20 % il consumo di fonti primarie e ridurre del 20% l’emissione di gas serra entro il 2020.

Per favorire il raggiungimento di questo obiettivo si è studiato un metodo che risponda efficacemente alle leggi di mercato.

Ad ogni paese viene affidata una soglia di inquinamento che può raggiungere ma non superare (cap ).

Il cap corrisponde ad una unità – soglia di CO2.  Se un paese (ad esempio l’ Olanda) rimane al di sotto della soglia indicata, è libera di vendere i propri crediti ad altri paesi.

Il sistema del cap and trade è applicabile anche a livello nazionale e si configura in un rapporto tra la soglia stabilita dal singolo stato e le aziende che in quello stato producono. Dopo aver stabilito la soglia, lo Stato prevede dei limiti per le aziende. Ogni azienda che rispetta il limite o addirittura produce meno CO2 di quanta dovrebbe, acquista crediti da emissioni che può rivendere sul mercato interno.

Tali crediti da emissioni funzionano come veri e propri titoli azionari e sono scambiati su apposite piattaforme di trading nazionale ed internazionale.

Dal punto di vista strategico il meccanismo pare funzionare, consentendo un’ evidente abbassamento delle quantità di CO2 rilasciate nell’atmosfera.

Dall’altro lato, parliamo di un mercato che può risultare molto interessante ed appetibile.

Osservando i dati di una piattaforma online appositamente dedicata al trading ECTS si nota subito una estrema volatilità dei titoli.

L’acquisto di un “diritto a inquinare” ha raggiunto prezzi diversissimi tra loro in segmenti temporali molto brevi. Sono forti le influenze sui prezzi di vendita legate a fattori ambientali, climatici e socio – politici.

Giusto per fare un esempio, su una piattaforma online dedicata esclusivamente al mercato delle emissioni, un diritto ad inquinare (corrispondente ad una tonnellata di CO2) veniva comprata a 30 €, magari anche in base alle previsioni di un’estate particolarmente siccitosa. Un anno dopo e gli anni successivi i valori sono stati di gran lunga più bassi.

Integra questo mercato, la borsa dei “certificati verdi” introdotti dal Decreto Bersani.

Anche questo meccanismo prevede un libero mercato di scambio per titoli che certifichino il rispetto di una soglia “green”. In questo caso, la premessa è che ogni azienda deve essere alimentata almeno al 2% con energia da fonti rinnovabili.

Quelle aziende che non raggiungano tale soglia possono acquistare “certificati verdi” da altre aziende che rispettano le soglie oppure direttamente da aziende produttrici di energia elettrica da fonte rinnovabile.

Questo mercato risulta, al momento, meno dinamico a causa del taglio agli incentivi sulle fonti rinnovabili, incentivi che qualche anno fa hanno determinato l’apertura di nuove aziende dedite interamente alla produzione e vendita di energia pulita.

Insomma, se il portafoglio non sente la crisi e si dispone di molta liquidità, l’investimento su questi mercati potrebbe essere più appetibile di altre forme di investimento.

L’occhio di riguardo per l’ambiente, poi, renderebbe il piano d’investimento un po’ più hippy.


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