Magazine Cinema
BOSCH (2014)
Creatori: Michael Connelly, Eric Overmyer
Attori: Titus Welliver, Jamie Hector, Amy Aquino, Jason Gedrick
Paese: USA
E' l'era d'oro dei prodotti seriali. Non necessariamente nel senso di qualità, ma di certo in termini di produzione. Del resto è ovvio che ad un aumento della produzione segua un calo percentuale della qualità, è giusto così. Anche perché, diciamocelo, se questa ondata ha portato a True Detective si può sopportare senza problemi anche una grossa manciata di robetta scadente.
Chiunque volge lo sguardo al piccolo schermo ultimamente, e neanche Amazon è riuscita a sottrarsi a questa tendenza. Prende così il detective Bosch dai romanzi di Connelly e lo traduce in immagini, proponendo l'ennesima serie televisiva a gente come noi, drogata ed irrecuperabile, ad una stadio felicemente terminale.
Apparentemente niente di nuovo questo Bosch, e in realtà niente di nuovo anche in termini effettivi. Nessun particolare lampo di genio, nessun aspetto troppo caratterizzante né distintivo, nessun tecnicismo più degno di nota di altri, niente di troppo potente da offrire allo spettatore. Sarebbe lecito, anzi, chiedersi perché parlarne; è una domanda che si è fatto per primo il sottoscritto, senza però ricevere risposta, quindi facciamo che ne scrivo e vedo cosa ne fuori al termine.
Classica storia di un detective disilluso e con un sacco di cazzi per la testa. Non troppo hard boiled vecchio stampo, né troppo poliziotto da copertina. Troppo poliziotto per essere per essere un detective privato dal sapore hard boiled, ma abbastanza disilluso e cupo da restituire, dell'hard boiled, comunque un certo retrogusto. Si ritrova a gestire un caso che ha lo psicopatico che ti aspetti al centro della stessa, lo psicopatico che anche questa volta decide di avere una connessione col detective di turno, e che anche questa volta con lo stesso cerca e trova un rapporto. Ci sono, come da copione, pure i casini personali, come si accennava, del protagonista. Un processo pendente, una figlia a 4 ore di distanza che vede poco e niente, l'antagonista del dipartimento che gli rompe le palle appena possibile, e, immaginate, c'è pure Lance Reddick a fare il "deputy chief" della situazione. Roba da non sapere dove l'originalità sia di casa.
Ad onor del vero, dopo un paio di puntate stavo per lasciare. Specie dopo l'entrata in scena dell'ennesimo aspetto da copione: la donna più telefonata che si possa immaginare. Non che gli altri personaggi siano questo crogiuolo di complessità e profondità, intendiamoci. Tuttavia, ho deciso di vedere comunque la terza puntata, spegnere tutto e andare a letto. Il giorno successivo la riprendo, più per sport che altro, e dopo 3-4 ore mi ritrovo con la serie conclusa e con 7 puntate di fila alle spalle. Ora, questo non significa affatto che si sia rivelata un capolavoro e che io sia morto dalla gioia, anche perché sto scrivendo. A dirla tutta non è cambiato granché, ma ciononostante questo secondo prodotto della Amazon è scivolato via con una facilità che non riscontravo da tempo. Una facilità tipica di quei prodotti tanto a cervello spento quanto onesti. Quei prodotti non pretenziosi, non fastidiosi nella loro arroganza di proporre il prodotto del secolo presentandosi con qualcosa nemmeno buona per annoiarsi.
Bosch, si scriveva, è un detective come tanti, troppo preso dal suo lavoro senza però rasentare la sociopatia, è il detective che potresti trovarti di fronte un giorno se dovessi uccidere qualcuno. Una sorta di detective della porta accanto, solo un po' più bravo e con un'infanzia un po' meno felice della tua. Non il classico genio della Omicidi, di quelli che hanno un lampo sul cesso e salvano tutti gli Stati Uniti più metà del Giappone, ma più semplicemente quello che ricalca il caso più e più volte e per la legge dei grandi numeri riesce a risolverlo prima di altri. La fruibilità, la semplicità e l'onestà del racconto sono proprio qui. C'è un caso, la gente muore, il serial killer non è figo al punto che vuoi essere un serial killer, così come non lo è il protagonista al punto di voler essere un detective. Non ci sono quei fastidiosi colpi di scena che minano la credibilità, sempre meno rispettata, dell'intreccio, né dialoghi ad effetto che minano, se non usati sapientemente, la credibilità del personaggio (e lo scrive un amante dei dialoghi ad effetto). Invero la resa scenica non è altrettanto realistica, come lo è quella di un The Wire, piuttosto che un The Shield, ma niente di preoccupante, o che in ogni caso possa andare a ledere l'aspetto che rende fruibile la serie, ossia l'aderenza, o quasi, alla realtà.
E' stato finalmente dato un ruolo da protagonista a Titus Welliver, altro punto a favore. Fa il suo, non recita da Dio, ma fa il suo. E se Welliver fa il suo, è sufficiente. Altro punto a favore la sigla d'apertura: non sono riuscito a mandarla avanti nemmeno mezza volta, trasmette da sola, forse più della serie stessa, quell'atmosfera hard boiled e disillusa della metropoli. "Can't let go" di Caught A Ghost: la ascoltate, grazie.
Nulla, quindi. Non è la serie del secolo, non si avvicina nemmeno ad esserlo (ha più di un difetto), non la consiglio con entusiasmo, ve ne parlo e basta, poi fate voi. E' "solo" un'altra storia capitata tra le mani del LAPD, la storia un altro essere umano che ha perso il senno, di un altro detective chiamato a fare il suo lavoro. Una storia come tante, risolta con dell'onesto lavoro investigativo. Come direbbero in una serie poliziesca a caso, da quelle parti:
"Just some good police work".
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