Magazine Cinema
(id.)
di Richard Linklater (Usa, 2014)
con Ellar Coltrane, Patricia Arquette, Ethan Hawke, Lorelei Linklater
durata: 164 min.
★★★★★
Ognuno ha le proprie fisse, belle o brutte che siano. Richard Linklater è un regista ossessionato dallo scorrere del tempo, ed è una gran bella fissa, soprattutto per noi spettatori. Ce ne aveva già dato prova con la trilogia Before Sunrise, Before Sunset, Before Midnight: tre film che solo un'interpretazione superficiale e poco attenta avrebbe potuto catalogare come semplici 'film sentimentali', mentre invece è evidente che sono tre pedine di un percorso particolare, volto a raccontare i destini incrociati di due persone 'normali' alle prese con il tempo che passa. Normalità e tempo: due concetti che Linklater ha voluto magnificamente estremizzare in Boyhood, in quello che potrebbe benissimo essere considerato il suo film 'definitivo', una di quelle cose 'estreme' che ti riescono una volta sola nella vita...
Ma che cos'è Boyhood? Innanzitutto un progetto, nato da un'idea tanto folle quanto affascinante: girare un film che raccontasse la maturazione di ragazzo dall'infanzia fino all'adolescenza, seguendone la crescita in tempo reale. Per dodici anni (dal 2002 ai giorni nostri) Richard Linklater ha riunito una volta l'anno, per qualche settimana di riprese, il giovane protagonista e gli altri attori che interpretano i vari componenti della famiglia, allo scopo di realizzare una pellicola che mostrasse la trasformazione fisica e mentale dello stesso gruppo di persone, che invecchiano realmente di fronte alla macchina da presa, senza filtri e senza uso di effetti speciali.
Vediamo così il giovane Mason (Ellar Coltrane) crescere sotto i nostri occhi, e con lui i propri genitori (Ethan Hawke e Patricia Arquette): benissimo lui, un po' meno lei, che vediamo ingrassare e imbruttirsi impietosamente col passare degli anni, come in una sorta di reality... la cosa incredibile è che non ci si fa nemmeno troppo caso, perchè il grande merito del film è quello di mostrare la naturalezza e la normalità dello stare al mondo: Boyhood fotografa lo spettacolo della vita, nelle sue tre ore di durata non accade praticamente nulla di significativo, perchè in questo 'nulla' in realtà c'è tutto: ci sono gli amori (sempre) sbagliati della madre, la faciloneria di un padre eterno Peter Pan, i litigi con la sorellina che ascolta musica inascoltabile (da Britney Spears a Lady Gaga), la cronaca di un'adolescenza comune di un comune ragazzino texano che si accinge ad affrontare il mondo (i compagni di scuola che ti prendono in giro, la pubertà, i primi turbamenti sessuali, la prima cotta, il primo amore finito male...)
Ma Boyhood non è La meglio gioventù, e nemmeno Forrest Gump: la vita di Mason NON è il pretesto per parlare d'altro, tipo raccontare la storia di un paese grande e complesso (che comunque c'è, seppure in sottofondo: la psicosi del terrorismo, il culto per le armi, la piaga dell'alcool, la vittoria del democratico Obama in uno degli stati - il Texas - più conservatori d'America). E' semplicemente (si fa per dire!) una riflessione sul Tempo e sulla capacità di accettarlo, che poi è la cosa più difficile per tutti noi: la sequenza - magnifica - in cui vediamo Mason entrare in casa con il morale alle stelle per l'iscrizione al college, e sua mamma che invece scoppia in un pianto isterico, dovuto alla paura di non aver dedicato al figlio tutto il tempo possibile, è emblematica più di mille parole.
Linklater e i suoi collaboratori (sopratutto la montatrice Sandra Adair) hanno compiuto un lavoro eccezionale anche a livello tecnico: il film segue una continuità di narrazione che lascia stupefatti, vediamo susseguirsi in un battito di ciglia scene girate da un anno all'altro, raccordate alla perfezione, tali che lo spettatore nemmeno se ne accorge. Una scommessa difficilissima, che aveva fatto desistere in passato fior di cineasti cimentatosi con roba simile (Kubrick su tutti), qui invece splendidamente vinta.
Boyhood ha il pregio, enorme, di farti apprezzare nello stesso momento la magìa del cinema e della vita: della prima ne siamo consapevoli, della seconda magari un po' meno, abituati come siamo a considerare la nostra esistenza il più ordinaria possibile... ma grazie a questo film riesci a rendertene conto: nonostante le tre ore di durata alla fine vorresti che non finisse mai, hai come la sensazione di essere ancora all'inizio. Perchè ti accorgi che la nostra vita, OGNI vita, è una storia degna di essere raccontata.
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