Esperimento cinematografico che ha fatto molto parlare di sé, questo film ha ricevuto migliaia di elogi da critica e pubblico, riscontrando pochi dissensi e un pugno di fischi. Eppure chi sta scrivendo si deve per forza mettere dalla parte di chi ne ha parlato male, non perché Boyhood non sia interessante, ci mancherebbe! Tutti trovano curiosa, particolare e coraggiosa l'idea di riprendere per dodici anni le stesse persone creando qualcosa che al cinema si è visto poco (badate, poco, non mai), ovvero l'età che cambia tutti noi, esteriormente e interiormente. Il problema forse sta tutto qui: quanto c'è di vero e reale in Boyhood, a parte l'ambizione con cui Richard Linklater ha imbastito tutto quanto? La pellicola vive di un'idea fortissima sottomessa però ad una sceneggiatura didascalica, finta, bugiarda e terribilmente cinematografica: il film che avrebbe potuto abbassare tutte le barriere che il cinema crea tra finzione e realtà è invece quello che contribuisce ad innalzarne ancora di più, perché è impossibile credere che una donna divorziata, madre di due figli, incontri solo ubriaconi violenti e uomini sbagliati, come non è credibile che nella vita si facciano solo poche cose: ascoltare e suonare musica, scattare foto, divorziare, traslocare, guidare e parlare. E quanto parlano, i protagonisti! Parlano in continuazione, non si scompongono mai, restano costantemente ingessati nei loro dialoghi bugiardi, pieni di imbarazzo più per quello che devono dire che non per quello che capita intorno a loro. Così Linklater si nasconde dietro un mondo più fittizio dei soliti film cui assistiamo ogni giorno, imprigionando la sua idea originale in qualcosa di perfettamente ordinario e raccontando non la storia di un ragazzo qualunque, ma la storia di un ragazzo come tanti ne abbiamo visti sul grande schermo. Certo, l'improvvisa crescita del giovane Ellar Coltrane da un frame all'altro stupisce e rimane impressa, ma sono circa cinque o sei momenti in tutta la durata del film, una durata eccessiva (quasi tre ore) per un esperimento che, in sostanza, si ritrova ad essere un modesto esercizio di scrittura sotto ad un lavoro di regia piuttosto canonico. Le musiche scelte non sono male, ma avere buon gusto musicale non significa saper gestire un prodotto cinematografico; con questo non voglio dire che Linklater sia un pessimo regista, ma che non ha saputo sfruttare appieno le potenzialità del suo progetto, probabilmente per timore di osare troppo. Ecco, forse, pur di essere apprezzato, ha deciso di ancorare l'idea a solide basi commerciali che non fanno andare la pellicola dove invece potrebbe dirigersi. La voglia del regista di essere apprezzato supera la voglia di osare: il risultato è la storia di un ammiccante ragazzino tutto orecchini, fotografie e facebook (per far sì che la maggior parte del pubblico possa riconoscersi) con una miriade di problemi da affrontare, con un passato che diventa sempre più ricco di eventi che lo forgeranno proprio sotto i nostri occhi. C'è un che di particolare in tutto ciò, ma 165 minuti di durata sono decisamente troppi, e non è che questa vita sia chissà quanto interessante. Da vedere una tantum, probabilmente alla seconda visione annoierà anche chi l'ha apprezzato.
Magazine Cinema
Esperimento cinematografico che ha fatto molto parlare di sé, questo film ha ricevuto migliaia di elogi da critica e pubblico, riscontrando pochi dissensi e un pugno di fischi. Eppure chi sta scrivendo si deve per forza mettere dalla parte di chi ne ha parlato male, non perché Boyhood non sia interessante, ci mancherebbe! Tutti trovano curiosa, particolare e coraggiosa l'idea di riprendere per dodici anni le stesse persone creando qualcosa che al cinema si è visto poco (badate, poco, non mai), ovvero l'età che cambia tutti noi, esteriormente e interiormente. Il problema forse sta tutto qui: quanto c'è di vero e reale in Boyhood, a parte l'ambizione con cui Richard Linklater ha imbastito tutto quanto? La pellicola vive di un'idea fortissima sottomessa però ad una sceneggiatura didascalica, finta, bugiarda e terribilmente cinematografica: il film che avrebbe potuto abbassare tutte le barriere che il cinema crea tra finzione e realtà è invece quello che contribuisce ad innalzarne ancora di più, perché è impossibile credere che una donna divorziata, madre di due figli, incontri solo ubriaconi violenti e uomini sbagliati, come non è credibile che nella vita si facciano solo poche cose: ascoltare e suonare musica, scattare foto, divorziare, traslocare, guidare e parlare. E quanto parlano, i protagonisti! Parlano in continuazione, non si scompongono mai, restano costantemente ingessati nei loro dialoghi bugiardi, pieni di imbarazzo più per quello che devono dire che non per quello che capita intorno a loro. Così Linklater si nasconde dietro un mondo più fittizio dei soliti film cui assistiamo ogni giorno, imprigionando la sua idea originale in qualcosa di perfettamente ordinario e raccontando non la storia di un ragazzo qualunque, ma la storia di un ragazzo come tanti ne abbiamo visti sul grande schermo. Certo, l'improvvisa crescita del giovane Ellar Coltrane da un frame all'altro stupisce e rimane impressa, ma sono circa cinque o sei momenti in tutta la durata del film, una durata eccessiva (quasi tre ore) per un esperimento che, in sostanza, si ritrova ad essere un modesto esercizio di scrittura sotto ad un lavoro di regia piuttosto canonico. Le musiche scelte non sono male, ma avere buon gusto musicale non significa saper gestire un prodotto cinematografico; con questo non voglio dire che Linklater sia un pessimo regista, ma che non ha saputo sfruttare appieno le potenzialità del suo progetto, probabilmente per timore di osare troppo. Ecco, forse, pur di essere apprezzato, ha deciso di ancorare l'idea a solide basi commerciali che non fanno andare la pellicola dove invece potrebbe dirigersi. La voglia del regista di essere apprezzato supera la voglia di osare: il risultato è la storia di un ammiccante ragazzino tutto orecchini, fotografie e facebook (per far sì che la maggior parte del pubblico possa riconoscersi) con una miriade di problemi da affrontare, con un passato che diventa sempre più ricco di eventi che lo forgeranno proprio sotto i nostri occhi. C'è un che di particolare in tutto ciò, ma 165 minuti di durata sono decisamente troppi, e non è che questa vita sia chissà quanto interessante. Da vedere una tantum, probabilmente alla seconda visione annoierà anche chi l'ha apprezzato.
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