Brandon Sanderson: La via dei re

Creato il 14 aprile 2012 da Martinaframmartino

Raramente quando finisco di leggere un libro mi capita di desiderare di rileggerlo immediatamente, e ancor più raramente mi capita di desiderarlo con quest’intensità. Eppure è stata questa la mia reazione a La via dei re, primo volume delle Cronache della folgoluce di Brandon Sanderson. Sapendo di non poter andare avanti perché i nove (!) seguiti a questo romanzo non sono ancora stati scritti, e non saranno scritti finché Sanderson non avrà ultimato il suo lavoro su A Memory of Light, il mio desiderio è stato quello di tornare indietro.

Si tratta di oltre 1100 pagine di libro, eppure per me è finito troppo presto. Avrei voluto saperne di più sui nichiliferi, su Dalinar, Kaladin, Shallan, e su quello che si prospetta per un mondo che non finisce di stupire e affascinare per la sua stranezza.

Quante cose mi sono persa per strada perché non le ho capite? Troppe, senza dubbio. Quando Dalinar spiega a suo figlio Adolin che lui era ubriaco nel momento in cui suo fratello Gavilar veniva assassinato, mi ha dato un’informazione che non conoscevo. Ma io avrei dovuto saperlo, Sanderson lo aveva scritto chiaramente:

“Szeth fu costretto a girare attorno a Dalinar Kholin – il fratello del re in persona – che era accasciato su un tavolino, ubriaco. Quell’uomo non più giovane ma dalla corporatura robusta continuava a cacciar via quelli che cercavano di convincerlo ad andare a letto. Dov’era Jasnah, la figlia del re? Elhokar, figlio ed erede del sovrano, sedeva all’alto tavolo, presiedendo al banchetto in assenza di suo padre.” (pag. 20)

Ribadisco, pagina 20. Lo sapevo fin dall’inizio dov’era Dalinar, solo che me lo ero dimenticato.

Ho letto molte cose su questo libro, anche prima della sua pubblicazione in inglese. Sanderson è uno dei miei “sorvegliati speciali” fin da quando Harriet McDougal lo ha scelto per completare La Ruota del Tempo, rimasta incompiuta alla morte di Robert Jordan. Perciò ho letto molto, e una parte di quel che ho letto l’ho riportato in articoli che ho scritto per FantasyMagazine. Ma finché i libri non si leggono e i personaggi non si conoscono si tratta solo di parole vuote.

Nella prima versione di questo romanzo dalla gestazione lunghissima (leggere i ringraziamenti finali per credere, Sanderson ha iniziato a lavorarci sopra alla fine degli anni ’90) “Al centro c’erano le vicende di due personaggi. Il primo era il fratello minore di un re saggio costretto a guidare il reame e contemporaneamente a proteggere il legittimo erede, il secondo un giovane uomo di nome Rick, inizialmente ritenuto l’assassino del sovrano. Con il trascorrere degli anni Rick è diventato Jerick, mentre Jared, il fratello del sovrano, è diventato Dalinar, anche se essenzialmente è rimasto lo stesso personaggio.” Sono parole mie queste (http://librolandia.wordpress.com/2012/02/23/la-via-dei-re-di-brandon-sanderson/), anch’esse scomparse nelle nebbie del tempo. E infatti non ero neppure sicura se Szeth avrebbe avuto successo.

Szeth ha successo, lo scopriamo nel prologo. E se io mi ero dimenticata la figura di un uomo ubriaco accasciato su un tavolo, e non lo avevo immediatamente associato al grande e saggio nobile guerriero che troviamo dalla seconda parte in poi, cioè da pagina 205, tutto sommato è anche comprensibile. Avevo dimenticato anche altri due nomi, quelli di Jasnah e di Elhokar, e la prima viene nominata già a pagina 66 e compare a pagina 90, ma entrambi i capitolo sono dedicati a Shallan. Conosciamo Jasnah in rapporto a lei, e quindi non viene spontaneo associare il nome della donna più famosa a quello della figlia citata nel prologo. Siamo concentrati su Kaladin, siamo stati scombussolati da Szeth e dal suo modo insolito di combattere e ancora prima avevamo cercato di capire quale fosse la funzione del preludio.

Sì, questo libro ha un preludio e poi, ambientato 4.500 anni dopo, un prologo. Poi c’è il primo capitolo, dopo altri cinque anni e con un nuovo punto di vista. Il capitolo secondo, per fortuna, ci lascia lo stesso personaggio del primo, ma visto che sono passati otto mesi e che la situazione è drasticamente mutata, siamo ugualmente spiazzati. Quello che è successo di mezzo, o almeno le cose più importanti, le scopriremo in alcuni flashback che si inseriscono ripetutamente nello scorrere in avanti della storia e che iniziano ben nove anni prima. Con il terzo capitolo la finiamo finalmente con i balzi temporali – flashback a parte, ovviamente – ma cambiamo luogo e protagonista. Con una struttura così è normale essere spiazzati, e per fortuna che Sanderson ha affermato di non avere l’abilità di Jordan nel portare avanti contemporaneamente tante linee temporali. Qui i personaggi sono di meno, quindi è più facile far avanzare tutti quanti, ma l’intreccio è complicatissimo. In più c’è il mondo.

Tuonoclasta. Vincolaflussi. Stratolame. Giuripatto. E, al di là dei neologismi, ci sono parole, come Desolazione o Radiosi, che hanno evidentemente un significato che va al di là di quello che possiamo trovare su qualsiasi dizionario.

La scena del preludio apparentemente, al di là dei nomi, non è oscura. Si intuisce l’esistenza di un patto che vincola questi dieci uomini a qualcosa, e i termini del patto sono tutti da scoprire. Lo sono ancora, oltre 1000 pagine dopo. Qualcosa si sospetta, ma è troppo poco. Quanto è profondo questo mondo? E quanti sono gli indizi che mi sono lasciata sfuggire? Per capirlo un po’ di più dovrei rileggere il libro.

I disegni, per esempio. Ho impiegato un po’ a capire che erano opera di Shallan. Sì, quella specie di indice senza numeri di pagina che si trova a pagina 9 lo dice, ma dopo aver oltrepassato la pagina chi se ne ricorda più? Non io, e quindi ho dovuto ri-capirlo da sola. Quanto alle frasi che aprono i vari capitoli, alcune sono legate a Jasnah, e anche qui ho impiegato un po’ a capirlo. Altre vanno lette di seguito, un po’ come accade nelle frasi di apertura dei capitoli di Mistborn. E quelle sulle morti… quelle sono state una delle sorprese più grandi del romanzo. Davvero, mi ha spiazzata su tutta la linea. Tanto di cappello, Brandon. Scoprire cosa sono, scoprire le altre cose che ci sono in quel capitolo… È come la rivelazione sui nichiliferi. Spiazza, e fa venire i brividi. Perché ha dovuto dirmelo così e poi chiudere il libro? Non poteva mantenere il segreto fino al prossimo romanzo, e poi darmi qualche informazione in più? Evidentemente no, altrimenti non mi avrebbe resa così ansiosa di leggere il seguito.

In un primo momento Sanderson aveva ipotizzato di intitolare il secondo romanzo Highprince of War, e chi ha letto il libro ne può capire facilmente il motivo ma, visto che probabilmente la figura di Shallan sarà più importante di quanto ipotizzato in un primo momento, il titolo sarà diverso. Shallan, all’inizio così distante da Kaladin da spingere il lettore a chiedersi che rapporto ci sia fra le due figure. Per ora nessun rapporto diretto, se devo dirla tutta, ma considerando quel che sta combinando lui e chi conosce lei direi che ci sono prospettive interessanti. Da brivido, ma interessanti. E dire che all’inizio la fanciulla, dotata di scheletri nell’armadio grandi quanto una montagna, non faceva neppure parte della storia. “Se Szeth è rimasto più o meno immutato Kaladin ha subito trasformazioni enormi e Shallan non esisteva neppure”, ho scritto parecchio tempo fa.

Szeth si vede poco, ma fa preoccupare molto. Deve per forza essere così fortemente un Senzavero, qualunque cosa esso sia?

Quel che c’è in ballo è enorme, e mi sa che abbiamo solo sfiorato la punta dell’iceberg. Per questo dovrei rileggere il tutto, per capire cosa ho dimenticato e a cosa non ho dato la giusta importanza. Anche a cose apparentemente insignificanti, come gli interludi. A parte Szeth ci si chiede se siano davvero importanti, giusto? Riprendendo quell’articolo “una gran quantità di pagine sono dedicate a rendere il mondo il più reale possibile. Per ottenere quest’effetto ci sono molti interludi, in pratica delle vere e proprie storie nella storia, brevi episodi che non toccano la linea narrativa principale del romanzo ma che mostrano nuovi aspetti di Roshar senza creare un nuovo punto di vista”. Però la storia di Baxil a me fa pensare tanto a uno dei protagonisti, e al fatto che anche lui possa aver compiuto quel viaggio. Gli indizi in questo senso ci sono, alcuni prima di conoscere Baxil, e non si capisce bene il senso di quel che si sta leggendo, altri dopo, e la breve illuminazione che se ne ricava è troppo poco per placare le domande che si sollevano dalla nuova scoperta.

In mezzo a tutta questa trama complicatissima, agli intrighi e ai pericoli mortali, c’è un mondo che definire strano è dir poco. Ci sono gli spren, e il ruolo di Syl si capisce a poco a poco, ci sono le altempeste, e se entro certi limiti si capisce cosa sono ci sono comunque domande importanti su di loro. Ci sono piante che si nascondono per sfuggire alle tempeste e animali sorprendenti. Ci sono usi e costumi così diversi fra uomini e donne da essere anche difficili da immaginare prima di ritrovarseli descritti su queste pagine. Non un mondo pseudomedievale, anche se pure qui ci sono nobili che hanno tutto e poveracci che sono carne da macello. E ci sono le visioni di Dalinar, che dobbiamo ancora inquadrare.

Strati, su strati, su strati, e non sto parlando di stratopiastre. Ma per conoscerli tutti non c’è che una cosa: leggere questo straordinario libro. E poi rileggerlo, e rileggerlo ancora, in attesa di poter andare avanti con una storia che si preannuncia epica.



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