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Brasile 2014: la verità che si nasconde dietro i Mondiali

Creato il 10 giugno 2014 da Nicola933

Di Gabriella Maddaloni. Giovedì 12 luglio avranno inizio – finalmente o malauguratamente, a seconda di come la si pensi – i Mondiali 2014 in Brasile.

Si tratta di un evento che è stato accompagnato, fin dal suo annuncio, da una non indifferente protesta di portata internazionale da buona parte del popolo brasiliano, soprattutto indigeni e abitanti delle favelas. Ma perché? Cosa lamentano i brasiliani su questo evento che dovrebbe, almeno in teoria, dare al gigante lusofono un suo posto di rilievo a livello planetario?

È presto detto. Innanzitutto, il Brasile di Dilma Rousseff  ha speso ben 11 miliardi di dollari per costruire le infrastrutture necessarie allo svolgimento della Coppa del Mondo. Soldi che, a detta del popolo, sono stati procurati a spese di settori importanti per lo sviluppo del paese, quali istruzione, sanità, trasporti, edilizia.

Non solo. Per guadagnare terreni necessari alla costruzione dei nuovi stadi e delle strutture sportive, gli autoctoni brasiliani, già decimati da secoli di atavici stermini e privazioni della loro identità culturale, sono stati sfrattati dalle loro terre. In caso di opposizione, non si è esitato ad usare nei loro riguardi mezzi estremi quali l’arresto, la tortura, l’omicidio.

Secondo Survival International, un’organizzazione che si occupa della tutela dei popoli indigeni a livello mondiale,  gli stadi costruiti recentemente sono stati tirati su  appezzamenti di terra tolti dal governo alle tribù indigene. Il più piccolo di quegli stadi, inoltre, – quello di Curitiba -, può contenere oltre quarantamila persone, cifra pari a quella della più grande tribù amazzonica al completo (i Tikuna). Lo stadio più grande, invece, il Maracanã, si trova a Rio de Janeiro ed ha una capienza tale (76.804 persone) da poter accogliere la più numerosa tribù autoctona del Brasile: i Guarani. Costoro, che nei secoli passati erano in milioni, oggi sono appena in cinquantamila, e molti di essi vivono a soli 50 km da Rio. Altri stadi sono stati costruiti, oltre che a Rio e Curitiba, anche a São Paulo e Porto Alegre.

Nelle suddette città ed anche a Manaus, Brasilia e Belo Horizonte, è da ormai un anno, vale a dire dalla Confederations Cup, che le persone scendono a migliaia nelle piazze e nelle strade, per attuare scioperi e proteste di ogni tipo (da quelli degli insegnanti a quelli dei trasporti) contro la Fifa e contro il governo. La gente è arrivata anche a scontrarsi con la polizia, e appoggi alla popolazione sono giunti anche dai brasiliani residenti all’estero. È ancora nella memoria di molti il video che lo scorso anno, poco prima delle proteste, la filmaker Carla Dauden postò in rete,  nel quale spiegava con estrema chiarezza e precisione perché lei non sarebbe andata ad assistere ai mondiali.

Oltre alla Coppa del Mondo 2014, il gigante lusofono ospiterà nel 2016 anche le Olimpiadi, e la somma totale della spesa pubblica per questi eventi equivale a ben trenta miliardi di dollari. Ora, senza voler fare del pressapochismo e senza voler cadere nei soliti cliché, viene spontaneo da chiedersi perché, in un paese dove nonostante gli indubbi progressi economici avuti negli ultimi anni, tale denaro non possa essere utilizzato per colmare le gravi lacune che purtroppo ancora esistono. La ricchezza è mal distribuita, e buona parte della popolazione vive ancora sotto la soglia della povertà, senza poter accedere ad acqua, cibo e cure tali da poter garantire una vita dignitosa. Dilagante è la disoccupazione, soprattutto tra i più giovani, e Survival stima che il tasso di suicidi tra gli autoctoni Guarani è in assoluto il più alto al mondo. Questo accade “in particolare tra i giovani tra i 15 e i 30 anni, che si tolgono la vita perché si sentono già morti dentro, senza un futuro”.

Ma non si può spiegare nelle poche righe di un articolo la complessità e la vastità del problema: ci sarebbe da dire molto, ma molto di più. Qui nessuno afferma che non bisogna andare alle partite o non seguire i Mondiali, ma bisogna essere consapevoli di cosa c’è dietro tutta questa massiccia campagna pubblicitaria che il Brasile sta portando avanti agli occhi del mondo. Il gigante lusofono lo fa per abbattere i pregiudizi di tutti quelli che, il più delle volte, pensano ad esso solo come il simbolo del pallone e della samba: vuole mostrarsi forte, progredito, in grado di offrire strutture adeguate ad una manifestazione così importante a livello mondiale. Ma come si possono combattere i pregiudizi occultando, anzi aggravando ulteriormente, una situazione di degrado che affligge il Paese in maniera così vasta e trasversale?


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