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Brasile, che accade?

Creato il 22 giugno 2013 da Albertocapece

brasile-manifestazioni-contro-mondiali-2014All’inizio del secolo, tra i brindisi e la truffa del millennium bag (già, pessimo inizio, pessimo indizio) non potevamo immaginare che poco più di un decennio il Brasile si sarebbe ribellato alle folli spese per il calcio, cioè al suo stesso mito. Non conosco bene il gigante sudamericano per poter azzardare delle ipotesi di una qualche consistenza su questa esplosione che pare aver colto di sorpresa tutti non solo fuori, ma anche dentro il Paese: a guardare da lontano il Brasile è in ascesa economica, inserito fra i nuovi protagonisti dell’economia mondiale e nel decennio guidato dal Partito dei Lavoratori ha conosciuto una redistribuzione del reddito inimmaginabile sotto la dittatura militare o le destre a guida americana che si sono succedute per 40 anni. Certo rimangono infrastrutture deboli, burocrazie sudamericane, gigantesche e terribili aeree di povertà, livelli di criminalità impressionanti, inflazione ai livelli di guardia, ma tutto questo dentro un’ascesa e anche un governo sociale che difficilmente farebbero pensare a una protesta così diffusa e accanita.

Ma succede. E’ possibile, anzi probabile che vi siano zampini e micce accese per rinfocolare la protesta, ma questo è normale e non spiega il milione di persone in piazza ogni giorno contro un governo che è espressione proprio di quei ceti popolari che protestano. A pensarci bene però in  Brasile sta avvenendo in maniera pantografata ciò che da vent’anni succede un po’ dovunque, Europa e Italia comprese: i governi di sinistra moderata vanno incontro a contestazioni e malumori   dalla propria stessa base elettorale, conoscono una rinnovata aggressività sindacale, un moralismo ossessivo insospettabile quando al potere c’erano dei semplici e purissimi grassatori, mentre i governi di destra che perseguono in maniera solare la disuguaglianza sembrano cavarsela molto meglio ed anzi usano spesso (salvo che in campo ambientale, guarda caso) il futuro come feticcio ammonitore.

Certo è evidente che  da certi governi ci si aspetta di più, che molti annegano la delusione nella piazza, che una gran parte degli abitanti di questo pianeta vive un eccesso di sincronicità, una schizofrenia tra il pensare che tutto possa essere cambiato all’improvviso e che nulla possa davvero cambiare. In Brasile si protesta contro la nuova filosofia di spesa che dalla redistribuzione immediata è passata agli investimenti tra i quali quelli costosissimi e di pura facciata per i mondiali di calcio e per le Olimpiadi. Giustamente, anche se inaspettatamente per i nostri luoghi comuni, per quanto riguarda lo sport, ma rischiando di coinvolgere i presupposti di uno sviluppo giunto ai suoi limiti nelle condizioni attuali.

Che cosa accade dunque? Nulla e tutto: è che dopo le stagioni di lotte sociali si è affermata un’idea del tempo diversa da quella dei due secoli precedenti. Il tempo del qui e ora che dalla dimensione esistenziale ha finito per permeare quella politica: un tempo assieme immobile e frenetico che tende ad alienare da sé l’idea di progetto e di conquista, che considera l’avvenire un’astrazione inutile e la prospettiva come una chiacchiera. Lo si vede in tutto: dalla borsa dove l’investimento un tempo a lungo termine ora può durare pochi secondi, alla precarietà del lavoro, all’innovazione tecnologica che sempre di più persegue futili scopi commerciali, all’informazione con il suo real time, alla politica stessa dove si invoca una falsa concretezza che non prevede il salario del futuro, ma solo l’elemosina del presente.

E’ evidente che su questo terreno che le è proprio la destra ha un vantaggio di fondo, mentre la sinistra, anche quella più annacquata, si trova più a disagio perché ha ha comunque conservato, magari solo come reperto pavloviano, l’idea di una prospettiva, di un’evoluzione; la promessa, magari solo rituale di una società più giusta. Così, dentro questo diverso senso del tempo, che si è imposto ed è stato insufflato nelle anime, si vede bene come possa accadere che progetti reazionari possano lasciare le piazze deserte e i venti centesimi di aumento possano riempirle. Un’intera cultura ha creato le basi per farci credere che sia meglio un’elemosina oggi che uno stipendio domani, anche perché l’elemosina è sempre individuale, mentre gli stipendi richiedono sforzi e  lotte di generazioni. Ma per capirlo bisogna accorgersi di avere un destino sociale e non soltanto personale, che il futuro è anche quello che non ci riguarderà direttamente. E che il biglietto per andare da qualche è molto costoso.


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