di Martina Vacca
L’economia brasiliana nel 2012 é cresciuta solo dello 0,9% [1]. Si tratta di un forte calo per il Gigante dell’America Latina che negli anni novanta fronteggiava e sconfiggeva l’iperinflazione, che registrava una crescita del 4,5% dal 2004 al 2010 e nel 2011 vedeva un’espansione del PIL del 2,7%. Nel 2011 l’economia del Brasile, pur crescendo ad un ritmo inferiore rispetto a quello del 2010, è ad ogni modo diventata la sesta economia per il suo PIL, superando la Gran Bretagna. La bilancia commerciale ha messo in evidenza la vocazione del Brasile di grande esportatore di “commodities”, dai minerali di ferro, ai prodotti quali caffé e soia, ai derivati del petrolio [2].
Fonte: Financial Times
Il suo successo è riconducibile ad una forte stabilizzazione macroeconomica, all’esperienza innovativa del bilancio partecipativo, all’apertura internazionale verso gli investimenti, alle strategie di internazionalizzazione a favore delle imprese, agli esperimenti di politica sociale come “la Borsa famiglia”, che ha rafforzato oltretutto il soft-power brasiliano nel contesto del G20.
Oggi la crisi economica europea, e in generale la congiuntura internazionale, stanno gravando in primo luogo sulla domanda per gli investimenti. Certo é che il Brasile resta un’economia relativamente chiusa rispetto ad altri Paesi emergenti dell’economia mondiale; ma il successo commerciale che aveva trainato la crescita si è assottigliato. Si sta assistendo ad uno scenario economico sempre più convergente verso equilibri macroeconomici caratterizzati da bassi tassi di interesse e cambio deprezzato. Le prospettive delle banche inoltre peggiorano, rallentando così l’offerta di credito. Nel settore privato la decrescita economica brasiliana viene attribuita all’eccessivo intervento dello Stato in economia, alla modifica delle regole per lo sfruttamento del petrolio nell’area del Pré-sal a favore della compagnia petrolifera Petrobas, agli elevati apporti del Tesoro alla Banca pubblica di sviluppo.
Porre in essere corretti meccanismi d’asta, per individuare tassi di rendimento, sarà cruciale nel permettere al Brasile di accogliere grandi eventi come le Giornate Mondiali della Gioventù e i Mondiali 2014. Pertanto non si può parlare oggi di recessione, ma la chiusura del 2012 con una crescita dello 0,9%, classifica il Brasile come il Paese con il più basso tasso di crescita tra i BRICS. Secondo le previsioni dell’OSCE, Pechino e New Delhi continueranno a tenere alta la bandiera del gruppo BRICS quanto a potenziale economico, mentre Brasilia sarà raggiunta da Mosca e Pretoria, che vedranno un miglioramento annuale del 4%.
Fonte: Fondo Monetario Internazionale
Nonostante la flessione economica, le note positive restano invariate per il Brasile, soprattutto se si considera che il Paese continua a crescere – seppur lentamente rispetto agli anni di massima espansione – e che i programmi sociali hanno garantito salari alle classi più deboli, producendo un aumento del reddito del 33,3% dal 2003 al 2011 e facendo sì che oggi il 53% dei Brasiliani appartenga alla classe media.
Dunque il gigante dell’America Latina continua ad avere i piedi ben piantati in terra e le sue gambe non possono certo dirsi d’argilla.
* Martina Vacca è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna
[1] Istituto Brasiliano di geografia e statistica, 2012
[2] Rapporto congiunto Ambasciate-Consolati ENIT 2013
[3] Rapporto OSCE 2012