di: J. Hughes
con: E. Estevez, A. Michael Hall, J. Nelson, M. Ringwald, A. Sheedy, P. Gleason.
- USA 1985 -
97'
"Breakfast club" arriva tra noi nel 1985, in piena consacrazione orwelliana ("1984", indicava lo scrittore britannico, identico momento del tempo in cui si svolge la vicenda narrata nel film) e slittamento progressivo dell'aderenza alla modernità della generazione dei "boomers" - sedotta/di fatto brutalizzata/messa da parte per eventuale riciclo dal feroce miraggio ludico-materialista e dal delirio di (super)potenza dell'America di Reagan: genitori egotici/sbadati/ottusi di adolescenti che sempre più spesso "trascurano la messe" e "raggelano il suolo" - scritto da un regista con "l'orecchio sulla strada", John Hughes, uno degli autori che più si e' esercitato nella teen-comedy (teniamo a mente almeno il sotterraneo disincanto di "Sixteen candles"/"Un compleanno da ricordare", 1984 e la spassosa gaiezza di "Ferris Bueller's day off"/"Una pazza giornata di vacanza, 1986), mettendosi a caccia di spunti, facce, intrecci, allo scopo di spremerne atmosfere e un barlume di psicologie non preconfezionate e con l'idea - e' il nostro caso - di teatralizzare stereotipi ricorrenti di un segmento problematico di società (i giovani), virandoli in commedia agrodolce e lasciandoli deflagrare in un contesto - primavera dell'84, Chicago, biblioteca della scuola superiore durante un sabato da passare in punizione - claustrofobico quanto simbolico.
Ecco allora il muscolare frustrato (Andy/Estevez), la chicca snob (Claire/Ringwald), il "geek" timido (Brian/Hall), il teppista-sbruffone fascinoso (John/Nelson) e la spostata alternativa (Allison/Sheedy) - per inciso, consistente rappresentanza del fu "Brat pack" - scontrarsi "a mani nude" secondo una prassi verbale e gestuale che rimpasta e rilancia gerghi, luoghi più o meno comuni, pose, consuetudinaria di vari "milieu" di riferimento tipicamente americani: la palestra e il campo di allenamento; la confraternita/cerchia esclusiva; il circolo letterario o scientifico; le bande e i sobborghi; l'alluso microcosmo degli "appartati" a vario titolo. Tra dileggi, ciclotimie, scazzi e supponenze, nei cinque si fa presto largo la stanchezza e la repulsione nei riguardi di quei modi di essere a cui, in fondo, sono i primi a non credere sul serio, e che indossano come maschere utili non tanto a rafforzare un consolidato meccanismo giovanile di difesa e di mimetismo al cospetto della realtà ancora in larga parte considerata incomprensibile e quindi di primo acchito ostile, quanto per scongiurare uno spauracchio ben più conflittuale e doloroso: la convinzione di non essere all'altezza delle aspettative degli adulti vissuta non come opportunità di affermazione individuale ma come presagio/terrore di diventare esattamente come loro, a dire supponenti, astiosi, retrogradi, arrivisti, cinici, brutali. Non a caso nel film l'"adulto" e' assente o circoscritto/imprigionato in un ruolo (il Preside ad incarnare l'Autorita', personaggio sempre pronto ad usare il Potere come una clava e che considera i ragazzi ne' più ne' meno che un branco di idioti, una scocciatura capitatagli inopinatamente tra i piedi) o escluso dal cuore vivo della storia perché latore di un messaggio ovvio e/o innocuo (l'inserviente incontrato a pi˘ riprese che dispensa consigli in precario equilibrio tra banalità e facile buon senso).
Pellicola di scene "scolastiche" e di superfici regolari ben illuminate ma ancora non del tutto respingenti; di stasi prolungate e un qual numero di non casuali momenti morti; di corpi e volti levigati - persino troppo - eppure miracolosamente al di qua del sottovuoto spinto e delle maioliche impenetrabili a cui ci avrebbero addomesticato gli anni a venire, "Breakfast club" scorre veloce e coerente come un'impertinenza giudiziosa, anche e soprattutto in virtù di una sincera insofferenza, di uno spaesamento su cui insistere anche a forza di lacrime, offrendosi/ci pure un abbraccio "generazionale" postumo (la scena di ballo montata per brevi inquadrature sulle performance danzanti dei singoli trascinate dall'energia del rock) e riconsegnando infine Andy, Claire, Brian, John e Allison al mondo di sempre, senza certezze (imprevisti amori ? Maggiore fiducia in se' ? Rinnovata disponibilità all'apertura ? Volontà di non farsi ancora sopraffare dalla rabbia, dal rancore ?) ma con uno spirito diverso, quello che li aiuterà ad imprimere un segno personale sulle cose, a riappropriarsi del "verde" e dell'"oro" dei giorni e delle occasioni "trascurate", così da non essere dimenticati. Sine spe ac metu. Don't you forget about me...
TFK