Nel 2002, l’Accademia Svedese delle Scienze ha assegnato il Premio Nobel per l’economia a Vernon Smith “per aver affermato la rilevanza degli strumenti di laboratorio per l’indagine empirica in economia” e a Daniel Kahneman “per aver integrato intuizioni della ricerca psicologica nella scienza economica”[1]. La decisione dell’Accademia ha sancito la rilevanza di un approccio all’analisi dei fenomeni economici diverso rispetto a quello proposto dall’economia neoclassica. L’esigenza riconosciuta è quella di considerare adeguatamente la complessità dei fenomeni economici e dei processi che guidano le scelte degli individui.Negli ultimi anni, a questa esigenza ha cercato di rispondere una nuova branca dell’economia, denominata economia cognitiva. Questa recente disciplina studia le operazioni di ragionamento e i processi di adattamento assunti dagli attori economici nel corso delle loro interazioni (Walliser 2001). Si parla di adattamento perché gli agenti, nelle loro scelte, non si comportano secondo quanto previsto dalle curve di preferenze descritte dagli economisti tradizionali, ma violano apparentemente, la razionalità. Le violazioni della razionalità economica non sono episodiche ma, come osserva Kahneman, sistematiche.
A supporto si riportano due asserzioni dello studioso israeliano. “La classica teoria delle scelte fissa una serie di condizioni di razionalità che sono forse necessarie ma difficilmente sufficienti: esse, infatti, consentono di definire come razionali molte scelte palesemente sciocche” (Kahneman 1994, p. 23). “Nessuno ha mai creduto seriamente che tutti gli esseri umani abbiano sempre credenze razionali e prendano invariabilmente decisioni razionali. Il principio di razionalità viene generalmente inteso come un’approssimazione, fondata sulla convinzione (o speranza) che gli scostamenti dalla razionalità si facciano rari quando la posta è alta o tendano a scomparire del tutto sotto i colpi della disciplina del mercato” (Kahneman 2003, p. 87).Si potrebbe affermare che l’economia cognitiva nasca dal bisogno di approfondire le ragioni di questa “ricorrenza dell’irrazionalità”.
Tale materia di studio si consolida e si diffonde a partire dalla fine degli anni Ottanta, e soprattutto nel corso degli anni Novanta, quando affiorano la complementarietà e le affinità tra i contributi resi dai vari economisti nel corso degli anni Cinquanta[2].
Proprio nella metà del Novecento erano emersi risultati sperimentali che mettevano in discussione la validità del modello standard dell’azione razionale. In particolare vanno ricordati: il paradosso di Allais nel 1952 e lo studio empirico dei processi decisionali nelle imprese condotto da Cyert, Trow e Simon nel 1956[3].
La pubblicazione di questi lavori suscitò interesse, ma non alterò l’orientamento prevalente della scienza economica. Occorrerà aspettare la fine degli anni Ottanta per constatare i primi mutamenti. Una delle ragioni di questa sfasatura è da attribuire alla variegata natura di questi lavori e più in generale delle matrici dell’economia cognitiva, che sono state individuate come tali solo successivamente. Un altro motivo di questo ritardo è dovuto al fatto che, negli anni Cinquanta, le tecniche di ottimizzazione avevano raggiunto un elevato livello di perfezione formale, rivelandosi molto efficaci, ma allo stesso tempo molto complesse. Bisogna sottolineare che i teorici dell’ottimizzazione spesso non hanno tenuto in conto i problemi derivanti dalla impiego di grande quantità di tempo di calcolo, da parte degli individui, per poter effettuare delle scelte (Rizzello 1997).
Da un lato l’approccio di Simon, sviluppato sulla razionalità limitata (bounded rationality) e il problem solving criticava, in base ad analisi condotte sul campo, lo scarso realismo della teoria economica basata sul presupposto neoclassico della piena razionalità. Dall’altro lato, gli studi pionieristici di Allais nel 1952 sulle previste violazioni della teoria dell’utilità, dimostravano la discrepanza sistematica tra le previsioni tipiche della tradizionale teoria decisionale ed il comportamento reale.
Con le successive scoperte di Kahneman e Tversky, che introducono nuovi ed efficaci metodi di ricerca empirica, la psicologia cognitiva divenne una fondamentale area di indagine per spiegare comportamenti e decisioni che l’approccio neoclassico, caratterizzato da una forte ispirazione positivista, aveva trascurato[4].
La teoria della razionalità nella sua formulazione classica è pertanto giunta ad un momento critico: i suoi principali ispiratori ed il suo ruolo quale micro-fondamento dell’analisi economica sono seriamente messi in discussione.
[1] Cfr. Nobel Press Release (2002), http://www.nobel.se/economics/laureates/2002/.
[2] L’economia cognitiva, come verrà approfondito nei prossimi articoli, affonda le sue radici già nel Settecento e soprattutto nell’Ottocento, con alcuni contributi rispetto ai quali emergono fortissime affinità concettuali, prima fra tutte quelle di Marshall, Menger e Veblen.
[3] Fra gli altri economisti che apportarono nuove idee, in quella fase storica, si possono annoverare Katona (suo è il survey method), Markowitz ed Ellsberg.
[4] La concezione dell’economia come “scienza separata” ha radici che affondano lontano, almeno fino a John Stuart Mill. L’ispirazione positivista conduce l’approccio neoclassico a prendere le distanze dalle altre scienze sociali e in tal modo a selezionare tra gli obiettivi quelli perseguibili attraverso i metodi matematico-quantitativi.
Riferimenti Bibliografici
Allais M. (1952), “Le comportament de l’homme rationnel devant le risque: Critique des postulats de l’école Américaine”, Econometrica, 21, pp. 503-546.
Egidi M. & Rizzello S. (2003), “Cognitive Economics: Foundations and Historical Evolution”, Department of Economics “S. Cognetti de Martis”, Torino, Working Paper 4/2003; trad. it. “Economia Cognitiva: fondamenti ed evoluzione storica”, Sistemi intelligenti: rivista quadrimestrale di scienza cognitiva e intelligenza artificiale, 2003, vol. 2, pp. 221-246.
Hume D. (1985), A Treatise of Human Nature, Penguin Books, London, [1739-1749].
Kahneman D. (1994), “New Challenges and Theoretical Economics”, Journal of Institutional and the Theoretical Economics, (1994), 150, 1, pp. 18-36; trad. it. “Nuove sfide al principio di razionalità”; in Kahneman D. (2007), pp. 1-30.
Kahneman D. (2003), “A Psycological Perspective on Economics”, American Economic Review (Proceedings), 93, 2, pp. 162-168; trad. it. “Una prospettiva psicologica dell’economia”; in Kahneman D. (2007), pp. 85-97.
Kahneman D. (2007), Economia della felicità, Il Sole 24 ore, Milano.
Katona G. (1951), Psychological Economics of Economic Behaviour, Mc-Graw-Hill, New York; trad. it. L’analisi psicologica del comportamento umano, Etas Libri, Milano, 1964; in Rizzello S. (1997).
Rizzello S. (1997), L’economia della mente, Laterza, Roma-Bari; trad. ingl. The Economics of the Mind, Edward Elgar, Aldelshot, 1999.
Simon H.A. (2000), Scienza economica e comportamento umano, Edizioni di Comunità, Torino.
Tversky A. & Kahneman D. (1986), “Rational Choice and the Framing of Decisions”, Journal of Business, vol.59, n.4, pt.2, pp. 251-278.
Walliser B. (2001), “What Cognitive Economics is about”, Cognitive Economy, Proceedings of the French School Economie Cognitive, Cnrs, www.cenecc.ens.fr/EcoCog/Livre/Drafts/walliser2.doc