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Breve storia dei paradisi fiscali

Da Metallirari @metallirari

paradisi fiscaliIl termine di paradiso fiscale non è mai esistito fino al 1950, anche se il concetto è nato alla fine del 19° secolo, quando lo stato americano del New Jersey ha introdotto una legislazione per favorire la registrazione di nuove imprese e per offrire loro delle agevolazioni fiscali. Dopo pochi anni, anche lo stato del Delaware copiò la stessa legislazione. Gli ispiratori di questi cambiamenti furono alcuni avvocati di Wall Street.

Ma la vera crescita dei paradisi fiscali avvenne dopo la prima guerra mondiale, quando numerosi piccoli stati, tra i quali la Svizzera e il Liechtenstein, cominciarono ad offrire benefici fiscali, finanziari e societari. Nel 1934, la Svizzera rafforzò le proprie leggi sul segreto bancario a causa del coinvolgimento di una banca svizzera in un grosso scandalo fiscale avvenuto in Francia, contrariamente all’opinione diffusa che crede che le rigide normative sulla privacy svizzera avessero l’obbiettivo di proteggere i depositi dei clienti ebrei.

L’evento che generò l’esplosione esponenziale di tutte le attività offshore, fu  una sentenza del 1957 della Banca d’Inghilterra che formalizzò che  i cosiddetti euromarkets non fossero regolamentati. Per euromarkets si intendevano tutti i depositi in dollari detenuti al di fuori degli Stati Uniti e i depositi in sterline detenuti al di fuori del Regno Unito. Immediatamente, le banche internazionali abbracciarono questo concetto, trasformando posti come Panama, Cayman e le Isole del Canale in paradisi fiscali dove far transitare tutti le attività di euromarket.

Gli anni dal 1960 al 1990 furono gli anni d’oro dei paradisi fiscali,  che sorsero a decine, in gran parte indisturbati dalle autorità di tutto il mondo. Furono particolarmente attivi tutti quei paesi caraibici nella sfera d’influenza della Gran Bretagna, che promulgarono sistemi legislativi con l’obbiettivo di attirare capitali e società. Nel 1960 emerse anche Singapore come un rifugio offshore per tutti i paesi asiatici.

Durante gli anni 1970 e 1980, il numero dei paradisi fiscali arrivò a superare i 50 e i servizi offerti divennero sempre più complessi e sofisticati. Molte isole dell’Oceano Pacifico e dell’ Oceano Indiano si buttarono nella mischia, con la speranza di aiutare la propria economia a non dipendere totalmente dal turismo. Negli anni 1990 anche una manciata di paesi del Golfo Persico, dell’Africa e paesi dell’ex Unione Sovietica si trasformarono in centri offshore, in alcuni casi specializzandosi nei settori dell’e-commerce e dei giochi d’azzardo on-line. In poco tempo questi paradisi fiscali convogliarono almeno un terzo di tutti i prestiti internazionali e degli investimenti esteri, oltre ad una sempre maggiore quantità di reddito non dichiarato e di guadagni illeciti.

Preoccupati dalla dimensione del fenomeno, i paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) verso la fine degli anni ’90, iniziarono a fare marcia indietro. Da un primo giro di vite sulla concorrenza fiscale sleale, si trasformò in una vera e propria guerra contro l’evasione fiscale. Molti paradisi fiscali furono messi in blacklist, elenchi di paesi con cui non intrattenere rapporti commerciali o da controllare con adempimenti burocratici particolari per scoraggiare eventuali evasioni o elusioni fiscali. Con lo scoppio della crisi finanziaria globale, quasi tutti i paradisi fiscali sono stati costretti a fornire maggiori informazioni sui propri clienti e sui loro depositi.

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