Magazine

Breve storia di questo libro e della sua scrittura

Creato il 10 dicembre 2011 da Fabiochizzolini @piccoleombre
Quando ho cominciato a scrivere avevo solo vent'anni.
E' buffo, perché alle superiori odiavo farlo. Sul serio, lo odiavo. Al tema di maturità ho preso il minimo, soltanto perché non c'erano errori grammaticali. Questione d'orecchio credo, non ricordo di aver mai studiato in maniera particolarmente ispirata. Non mi piaceva neanche un granché leggere, a essere sincero.
Dopo le superiori, comunque, tutto cambia.
Mi trasferisco da Brescia a Firenze. Smetto di studiare informatica e comincio a studiare biologia (che, fra l'altro, neanche questa mi piaceva alle superiori) (a dimostrazione di quanto siano perversi alcuni sistemi scolastici moderni che indirizzano i ragazzi allo studio universitario in base a quello che hanno fatto prima) e, soprattutto, comincio a scrivere.
Comincio per caso, lamentandomi parecchio e facendo dell'opinionismo spicciolo dal mio blog. Qualche articoletto e qualche riflessione personale. Si comincia sempre così.Soltanto che dopo che hai iniziato a scrivere nasce un bisogno nuovo, la cui soddisfazione non è così immediata: il bisogno di essere letti. Il problema è che non è facile invogliare la gente a leggere i cazzi propri, anzi.
Il passo successivo quindi è tentare di smetterla di scrivere i cazzi propri e prendere le proprie idee, modellarle fino a farne uno scheletro e poi sopra di esso costruirci una storia.Si passa alla narrativa.Che è più facile a dirsi che a farsi.
La mia prima storia era di una pagina. Era una bella storia. C'era un'ingenuità in quella storia che ancora oggi non riconosco e che sono sicuro che se volessi riprodurre, non ci riuscirei più. Era un momento unico, che non tornerà più. Non sapevo nulla di tutte le cose che so oggi, riguardo allo scrivere, e questo era quello che la teneva assieme, quella storia.I temi di quello che avrei scritto per i sei anni seguenti c'erano già tutti.
Sostanzialmente quello che ho fatto da quel momento in poi è stato tentare di elaborare/esorcizzare il lutto che segue ad una interruzione improvvisa di una relazione sentimentale. Interruzione improvvisa e drammatica generata da litigi e dal crollo della comunicazione.Avevo un pessimo di carattere.Anche adesso, soltanto che lo so.
Nascono in questa maniera i quattro racconti di questa raccolta (all'inizio ve ne era anche un quinto, che però è stato eliminato, e sul quale tornerò a parlare sicuramente fra qualche giorno): elaborazioni di un lutto, esorcizzare l'archetipo della fine della relazione interpretandolo, più e più volte, sotto diverse angolazioni, facendolo mio e, così facendo, imparando a controllarlo, in modo da evitare in futuro gli errori del passato.
Queste storie brevi non rappresentano altro se non tappe simbolico lungo questo percorso. Come tante stazioni che portino alla scalata di una montagna così anche questi racconti sono culminati poi nella stesura di un libro, libro che ho completato da poco e che tratta in maniera organica tutti i temi dei quali si parla nella raccolta.
Percorso che mi ha portato da Firenze a Padova e poi a Londra.
Cosa fare con le robe che avevo scritto? Domanda pesante.
Decido di affidarmi ad una agenzia letteraria. Assieme facciamo un buon lavoro di editing, dopodiché quella si sarebbe dovuta occupare dell'intermediazione. Purtroppo fallisce. Metto la raccolta nel cassetto. Basta cazzate, tutto sembra finire lì.
Passa un annetto e leggo la notizia che la corazzata Amazon è sbarcata in Italia e ha aperto un proprio Kindle Store. Percependo che vi saranno diverse vendite di Kindle sotto natale ho pensato di cogliere l'occasione e caricare subito la mia raccolta in formato eBook, per vedere quanto è perseguibile questa via (il libro invece sta prendendo una direzione molto diversa).
Finora le cose non è che stiano andando proprio benissimo, però vediamo. Continuo a crederci, con tutto il male che questo può farmi.
Allego qua la mia primissima storia, sperando che faccia piacere a qualcuno leggerla. Non ci sarebbe cosa migliore, per me.
La storia dell'androide

C'era un androide, tanto tempo fa, ed era l’unico androide, circondato da umani.
Aveva mille qualità, l’androide, solamente che esse non erano tali per gli altri.
Gli altri erano umani e essi sono diversi dagli androidi. Non potevano capire le sue qualità, essi lo tolleravano perché, indirettamente, traevano dei vantaggi, dalle sua qualità. Ma non le capivano, e non capivano neanche l'androide che aveva sì, imparato il linguaggio degli umani, ma che possedeva un vocabolario mille volte più grande e mille volte più perfetto, nella sua lingua. Ma era l'unico androide, quindi non aveva nessuno con cui parlarla. 
Si arrabattava per comunicare con gli umani e, in qualche misura, ci riusciva, ma erano sempre discorsi superficiali quelli che faceva, abbastanza da scavarsi una piccola nicchia nel loro mondo, ma nulla più.
Essendo un androide, era anche molto, molto intelligente e si domandava spesso perché gli umani passassero così tanto tempo a definire strutture vuote. Strutture vuote e tremendamente grandi, pensava l'androide. Ma non poteva sollevare obiezioni così arroganti, in un mondo di umani. Quindi se ne stava zitto e, stando zitto, tacitamente, approvava il loro operato. Non si poteva certo mettere contro tutti, lui. Avrebbe perso.
Pur con tutta la sua intelligenza e tutta la sua saggezza, l'androide aveva egualmente bisogno di uno scopo nella vita, essendo egli un androide molto, molto sviluppato. Si interrogò sulle religioni degli umani, e giunse alla conclusione che erano fuori da ogni logica. Questo lo portò ad un'altra conclusione: per gli umani le cose devono essere estremamente semplici e prive di logica per essere accettate.
Questo pensiero lo sconfortava in particolar modo. L'androide era infatti cosi sofisticato che poteva pensare alle cose più complesse, e correlarle fra loro con un perfetto sistema di regole logico-matematiche. Il problema era che non poteva parlare con nessuno di questi suoi pensieri: gli umani provavano orrore per tutto ciò che non era immediatamente comprensibile, e il loro cervello era molto meno sofisticato di quello dell'androide. Avrebbero preso le sue verità per follia, deriso i suoi concetti con la loro superiorità numerica.
Quindi l'androide prese la decisione di rinunciare per sempre al suo modo di pensare, e si confuse fra gli umani.
Si disse, se mi compro una pelle da umano e se la indosso; se metto una parrucca, lenti colorate davanti ai miei occhi vitrei, se parlo come gli umani allora essi mi riconosceranno come loro simile e, finalmente, saprò com'è la sensazione di avere dei propri simili.
Così fece e, visto che comunque il suo cervello di androide continuava a funzionare, capì facilmente tutte le particolarità che rendono un umano effettivamente umano e si unì a essi.
Divenne il più umano degli umani. Nel tempo alcuni umani divennero per l'androide dei nomi: erano i suoi amici. Capì molte cose l'androide da quella strana esperienza di fare l'umano, capì la bellezza di non essere solo. Capì che gli umani cercano altri umani perché in essi possono vedere i loro stessi limiti, e sentirsene rincuorati. Infine, si legò in maniera speciale ad un umano, una donna. Decise di voler conoscere l'amore, e decise quindi di impostare il suo cervello di androide in funzione di questo umano, di questa donna. Da questa esperienza l'androide capì cos'è il dolore, e capì cos'è la felicità. L'umano, la donna, dopo del tempo decise che la perfezione dell'androide che si fingeva umano era troppo soffocante, e decise di allontanarlo. L'androide capì quindi la disperazione, comprese la voglia di morire. L'androide a quel punto desiderava solo tornare a essere un androide, ma aveva una paura matta di levarsi quella pelle da umano di dosso. Tracciò un bilancio di quegli anni passati a fare l'umano e, guardandosi indietro, capì, infine, cos'era la solitudine. E ne ebbe paura, ne ebbe più paura di quella indotta dalla disperazione. Ma essa rimaneva. Pensò quindi di porre fine alla sua stessa energia vitale, ma il suo cervello di androide gli impediva una tale negazione della logica, un tale spreco. Rimase quindi intrappolato, l'androide. Troppo umano per tornare a essere androide, troppo androide per smettere di essere umano.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog