Lo stragista solitario ripreso all'opera (Repubblica.it)
Le ultime notizie che provengono da Brindisi, con buona pace del senatore Maurizio Gasparri in arte Caspar e di tutte quelle reti televisive che hanno sbattuto i terroristi rossi in prima pagina, ci dicono che era valida la seconda delle ipotesi che avevamo fatto ieri, il gesto isolato di una persona in vena di vendette atroci. Non ci voleva molto a capire che le bombole del gas sono uno strumento talmente banale, e facilmente reperibile, che solo una banda di disperati con i capi in galera e l’arsenale chiuso a chiave, potevano farci ricorso. Che la mafia post-Riina, quella in mano a Bernardo Provenzano detto ‘u ziu e a Matteo Messina Denaro, aveva scelto il silenzio, il low profile, per tornare a operare senza inciampi dopo la stagione delle stragi. È vero, come ha affermato Roberto Saviano, che i nipotini di Riina crescono ma è vero anche che se la storia è maestra di vita, nell’immaginario mafioso le stragi erano state completamente rimosse, specie quelle senza senso: troppo alto il rischio e troppo elevato il riscontro negativo nell’opinione pubblica. Oggi la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra (quindi anche la SCU) preferiscono di gran lunga il silenzio e nei posti chiave della pubblica amministrazione preferiscono far eleggere i loro rappresentanti piuttosto che ammazzare i recalcitranti e gli onesti a tutti i costi. Per questo ci sembrava strano che in Puglia, a Brindisi poi, la SCU avesse deciso per una inversione di tendenza così drastica. Il terrorismo, da quando esiste, rivendica, mette la firma, delira ma personalizza efferatezze. La mafia tace e agisce nell’ombra ma firma con gli strumenti degli agguati, kalashnikov o T4, roba griffata insomma. Quello di sabato era stato invece un gesto assurdo, privo in apparenza di movente, di quello politico sicuramente si, di quello mafioso si poteva discutere. Dopo la visione delle registrazioni delle videocamere di sicurezza piazzate ovunque e delle quali l’attentatore non conosceva minimante l’esistenza (sic!), il lavoro degli investigatori si è concentrato tutto sul “profiling” dell’esecutore materiale della strage e si è capito che il movente andava ricercato nella scuola stessa, nel nome “Morvillo Falcone” o addirittura fra le stesse ragazze che la frequentavano e, ancora di più, proprio in quelle che il terrorista per caso ha deciso di bruciare. Un classico della cultura giallista: la vendetta o il rifiuto. In attesa che il cinquantenne criminale venga assicurato alle patrie galere o a qualche struttura sanitaria in grado di curarne le perversioni non più latenti, resta l’impressione che in questo paese qualsiasi cosa accada debba avere per forza una matrice politica, ovviamente di parte. E allora si alzano cori alla coesione sociale, alla compattezza e all’unità nazionale, allo sforzo comune di lottare contro la barbarie. Fatte tutte le necessarie proporzioni anche in Italia, come negli Stati Uniti, ogni tanto sbuca fuori un attentatore che, armato di bombole di GPL o di modellini del Duomo di Milano, consentono alla politica di tirare un sospiro, di riprendere fiato in nome di una nazione il cui inno nazionale, come ieri sera allo Stadio Olimpico di Roma, viene sonoramente fischiato da gente che non ne può più e che puntualmente viene stigmatizzata di antipatriottismo o di delinquenza insensibile. Diciamolo, i politici c’entrano poco con quanto accaduto a Brindisi, ma non siamo noi a premere sull’acceleratore del “stiamo tutti uniti perché il pericolo incombe”, ma loro che spesso, invece di tacere e di fare un minuto di raccoglimento, blaterano sulle disgrazie. Cinici? Ma quando mai, solo, forse, un po’ realisti.