Magazine Diario personale

Britannia Mews

Creato il 09 marzo 2012 da Povna @povna

Ennesima riscoperta di Astoria, che continua il suo viaggio tra i “neglected books” (soprattutto stranieri, è ovvio – da noi sono pochi quei volumi che possono sostenere di avere subito ingiustamente l’etichetta di “negletti”), anche Britannia Mews si rivela una lettura interessante. Proprio per questo dispiace che per il romanzo (che costa, a prezzo pieno, 18 euro) la casa editrice sia tornata a manifestare (antico problema da sempre) una certa fretta editoriale. Che si nota sia in una quarta di copertina francamente insufficiente (se non a modo suo ingannevole), sia in una serie di rinnovati problemi (un esempio per tutti: “un” matinée non si può né sentire né leggere, perché grida vendetta) di traduzione. Questo non oscura (troppo) i pregi del romanzo, che sono molti, e variegati.
La narrazione copre un amplissimo arco di tempo (dall’età vittoriana di secondo Ottocento, passando per il regno di Edoardo VII, la I grande guerra, il regno di Giorgio VI e la II guerra mondiale), ed è condotta con modi e tecniche che (l’intertestualità pare davvero evidente) devono avere influenzato, e anche parecchio (se alla questione formale si aggiunge quella tematica sul periodo Arts&Crafts e l’artigianato artistico che fiorisce sotto il regno di Edoardo), Antonia Byatt nel Libro dei bambini. Il fuoco del punto di vista (sostanzialmente onnisciente, ma con volute sospensioni dello sguardo) si appunta da principio sulla giovane Adelaide, rampolla di buona famiglia che – innamoratasi del suo insegnante di disegno – fugge di casa rompendo i ponti, rassegnandosi con orgoglio e consapevolezza (“si è quel che si sceglie”, sembra essere il motto inespresso, suo come di tutta una nazione), a vivere una vita ben diversa dalle aspettative ovvie, nel sobborgo londinese di Britannia Mews. Segue il resoconto, ora cursorio (a superare in panoramica un buon numero di anni) ora puntuale su alcuni episodi o su un aneddotto, delle sue peripezie e vicende (da moglie avvilita di un uomo ubriacone, ma soprattutto debole, a compagna di vita del suo secondo incontro, Gilbert, co-fondatore insieme a lei di quello che diventerà un rinomato teatro di marionette e burattini). Nello stesso tempo il titolo scelto da Margery Sharp (azzeccatissimo) non mente: perché, pur al centro della trama per i suoi due terzi, il vero protagonista del romanzo resta, sempre, il luogo di Britannia Mews. Del quale il narratore segue dunque le evoluzioni nel tempo, da slum a posto prima timidamente rispettabile e poi – grazie anche alla fama teatrale e artistica – centro pulsante di una allegra vita mondana e latamente bohemienne. Un luogo, dunque, e una famiglia: perché, per traverse e insieme inevitabili vicende, la stessa Adelaide si trova a dare rifugio alla nipote Dodo (che conosce in quel momento), scappata anche lei di casa per sottrarsi a una vita borghese di eccessivi obblighi, e che replicherà, adattandolo alla sua indole e alla sua epoca, lo spirito ribelle, ma costruttivo, di Adelaide, secondo un passaggio di responsabilità audacemente romanzesca che sembra rispettare un principio di erediatarietà indiretta, da zia a nipote (anche Adelaide, il romanzo lo dice di sfuggita, ma chiaramente, sembra del resto avere replicato, dal punto di vista del percorso di famiglia, le scelte anticonvenzionali di sua zia Belle). Il romanzo si chiude così, dunque, mentre Adelaide e il suo compagno Gilbert si apprestano a congedarsi, sereni, dalla loro esistenza (“a loro il futuro non interessava più”). Alla non più giovane e volitiva Dodo il compito di proseguire la ricerca di una strada consapevole e individuale per il mondo, nell’attesa che un nipote portato dal caso romanzesco (che, come è noto, non è cieco, e ci vede anzi benissimo) arrivi a prendere il suo pezzo di eredità per questo compito (poiché l’ereditarietà deve essere indiretta, nessuna delle tre ribelli, è ovvio, ha avuto figli). O magari – perché è questo il rischio di impresa quando si sceglie, consapevolmente, di non seguire le ragioni di famiglia – felicemente anche no.

E siamo di nuovo al Venerdì del libro di Homemademamma.


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