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Britten e A Midsummer Night's Dream al Teatro Costanzi di Roma
Creato il 24 giugno 2012 da SpaceoddityLa trama è notissima: per festeggiare le nozze di Teseo e Ippolita si organizza una grande festa, con annessa rappresentazione teatrale. Ma mentre tutto sembra svolgersi nella serenità regia che ci si attende, nel mondo delle fate un'altra coppia litiga per un paggetto che lei, Titania, non vuole cedere a lui, Oberon. Questi, allora, ripaga la moglie con un tremendo sortilegio: si innamorerà della prima creatura che vedrà al risveglio e, per far questo, incarica l'elfo Puck di trovare un fiore magico. Altre due coppie si inseguono nei boschi: Ermia e Lisandro, che si amano, ma vogliono vivere in castità fino al matrimonio, ed Elena e Demetrio, l'una innamorata senza speranza dell'altro. Oberon, che vuole aiutare la povera donna a conquistare il suo beniamino, dà ancora incarico a Puck di risolvere la situazione, solo che il giovanissimo servitore delle fate non individua la coppia giusta e provoca ulteriore scompiglio del bosco.
L'opera di Britten offre moltissimo sul piano drammaturgico-musicale, ma non richiede necessariamente una scenografia sontuosa e complessa. Prevalendo una tendenza all'interpretazione simbolica, pochi tratti suggestivi e precisi disegni cromatici definiscono uno spazio magico, pur senza orpelli chiassosi (qualcuno dei miei lettori, forse, conosce la recente regia di Robert Carsen, ma ne parlerò in un altro momento). Nel mettere in scena A Midsummer Night's Dream, il Teatro Costanzi di Roma ha affidato lo spettacolo a David Curran e la direzione di James Conlon, ottenendo un successo che certo il teatro di Benjamin Britten non ha spesso in Italia. Questa nuova produzione è valsa, eccome, una trasferta in capitale.
Diversi sono i punti di forza dello spettacolo. Comincerei, dati i problemi che spesso accompagnano l'opera, proprio dalla chiarezza di idee del regista. Non ci sono misteri, se non quelli che si sono voluti lasciare alle suggestioni della musica: David Curran suddivide la scena per mezzo di un elegantissimo ed enorme sipario bianco a semicerchio che definisce la porzione centrale del palcoscenico, destinandolo ai colori e alle meraviglie del mondo delle fate. Tutto intorno, ci sono gli umani, un'umanità moderna, in b/n, un mondo di professionisti a ogni livello (poliziotti, spazzini, manager) che si accalcano intorno all'evento con i tempi affannti delle comiche, di quelli in cui viviamo noi.
Punto di partenza delle vicende è l'inaugurazione del podio centrale, come se fosse un'opera d'arte: si apre la tenda e dietro la tenda c''è questa scalinata che sembra non portare da nessuna parte, su cui Oberon e Tytania si contendono il paggetto (Freud avrebbe molto da sottolineare in merito). Ma una volta che il sipario ha lasciato scorgere e scoprire questo mondo fatato, non ci sarà più modo di tenere lontane le diverse dimensioni esistenziali e lo stesso manto candido sarà usato come oggetto di scena, chiuso e aperto all'occorrenza, non come un'invisibile barriera: anche se non vediamo ciò che c'è oltre, siamo noi ad aprire e chiudere le porte a uno spazio ulteriore. Sono soprattutto gli attori, che dedicheranno la storia di Piramo e Tisbe a Teseo e Ippolita, a far uso di questo sipario: come se, mimando una storia fantastica e servendosi della scena per come la trovano, facessero da ponte tra i due mondi.
Del resto è già la musica di Britten a definire gli spazi attraverso i timbri: solenni, acuti e sonori quelli di Oberon (controtenore) e Tytania (soprano di coloratura) e delle fate, con il meraviglioso coro infantile (organico prediletto dal compositore), drammatici e precipitosi quelli degli amanti, buffi e tendenti al parlato quelli degli attori. Tra tutti, emerge Puck, voce recitante (nella più pura tradizione della dizione ritmica inglese), elfo acrobata, che nella produzione originale era il figlio di Massine, beniamino già nella commedia di Shakespeare (si ricorderà che, ne L'attimo fuggente, è il ruolo che rappresenta il ragazzo che vuole fare teatro contro il volere paterno). Ed è proprio da Puck che voglio cominciare per parlare del cast di questa produzione.
Michael Batten, ballerino al suo debutto nell'opera, è un giovane decisamente bello, di una grazia che ben si confà al ruolo. A ciò aggiunge un'elasticità e una rapidità di movimenti che gli sono conferiti dalla dimestichezza sia con la danza classica che con quella contemporanea; ha anche una bella voce chiara e intonata e una dizione chiara. Se si esclude una punta divistica in chiusa, Batten è un Puck perfetto e indimenticabile. Eccellente anche la bella Tytania di Claudia Boyle, disinvolta e precisa (nonostante l'incipit di Be kind and courteous al II atto, che però è una maledizione per tutte). Meno mi ha convinto l'Oberon di Lawrence Zazzo: ottimo interprete, piuttosto limpido nell'emissione, senz'altro superbo concertista, ma mi sembra che la voce abbia stentato a imprimere il suo carattere nei duetti e nei pezzi d'insieme.
Omogeneo, simpatico e ben amalgamato il quartetto degli amanti, nel quale emerge la coppia-non coppia di Elena (Ellie Dehn) e Demetrio (Philip Addis): voci entrambe sicure, di soprano e di baritono, con ottimo volume, linea canora scolpita (soprattutto lui), recitazione ottima (che a Britten - anima teatrale - premeva molto, tanto quanto l'aspetto musicale). Nei giochi vocali, non sfigurano e anzi contribuiscono all'ottima performance d'insieme l'Ermia (mezzosoprano) di Tamara Gura e il Lisandro (tenore) di Shawn Mathey. In particolare la scena delle invettive tra le donne e il corpo a corpo affrettato e buffissimo tra i due uomini scamiciati hanno offerto, oltre a un'ottimo momento musicale, anche ragioni di ilarità nel pubblico, che ha partecipato composto e divertito.
Quanto alla troupe degli attori, hanno regalato tutti una ventata di freschezza e di eccellente musica. In particolare il Bottom di Peter Rose e l'indimenticabile Flute/Thysbe di Anthony Dean Griffey hanno quasi strappato applausi a scena aperta nel terzo atto. Ma dal gioco d'insieme non è possibile escludere il Quince di Peter Strummer o lo Snug di Filippo Bettoschi o ancora lo Snout di Saverio Fiore e lo Starveling di George Humpreys. A cavallo tra linea sonora e parodia, questo gruppo di interpreti tratteggia a perfezione una delle caratteristiche precipue di Britten, il controcanto beffardo che compare sin dalle prime opere, ma che in A Midsummer Night's Dream trova un sostrato drammaturgico ideale. Di fronte agli sposini Teseo (basso, Peter Savidge) e Ippolita (contralto, Natasha Petrinsky), gli attori hanno regalato un terzo atto teatralmente superbo.
Ma non si può parlare di questo terzo atto, e dell'opera in genere, senza far riferimento a James Conlon alla guida dell'Orchestra dell'Opera di Roma. Il direttore newyorkese, che tende a scarnificare la musica per far emergere la ricchezza armonica e timbrica in partitura, ha regalato al pubblico un'opera in crescendo, che proprio nel finale ha incantato e commosso gli spettatori (perfino il mio vicino di posto, scettico sull'opera del '900 e su questa musica in particolare, si è alzato convinto ad applaudire alla fine). Non ho mai sentito un'introduzione al terzo atto così suggestiva e, se (pur nella disdicevole emorragia di spettatori dell'opera oggi) A Midsummer Night's Dream a Roma è stato un trionfo, lo si deve senz'altro alla sua guida, alla sua professionalità e al suo inveterato amore per la musica di Benjamin Britten.
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