Intervista esclusiva a Jessica Brockmole, autrice di “Novemila giorni e una sola notte”
A Milano abbiamo incontrato Jessica Brockmole, autrice di “Novemila giorni e una sola notte”. Le abbiamo proposto alcune domande, ciascuna delle quali trae spunto da una frase del suo romanzo.
“Però il suo ricordo è soltanto mio. Lo ricordo anche per te.”
In Italia, il premio Bancarella è stato assegnato a un’opera romance (“Ti prego lasciati odiare” di Anna Premoli). Il tuo romanzo, a sfondo romance, sarà pubblicato in 21 paesi. Come mai nell’aria si respira tanta voglia di romance?
Ai nostri giorni, soprattutto attraverso i social media, le notizie si susseguono velocemente. E sono soprattutto cattive notizie. Quando le leggiamo, quando io le leggo, per contrasto siamo catturati dal desiderio di avere qualche buona notizia. Vorremmo leggere di amore e di felicità…
Com’è nata l’idea di un romanzo in forma epistolare? Nell’opera viene citato un illustre precedente: “Le lettere di Abelardo ed Eloisa. Però promettimi che la nostra storia non finirà in modo così tragico: non potrei sopportare di vivere in un convento.”
Tu hai letto quest’opera impegnativa?
Ho letto l’opera solo in parte. L’idea del romanzo epistolare è nata da un’esperienza personale. Da poco c’eravamo trasferiti in Scozia, lontano da amici e parenti. Non potevamo incontrarci, dovevamo affidare il nostro incontro alla parola scritta. Ho voluto esplorare questa nuova modalità di comunicazione perché alle lettere abbiamo affidato la possibilità di tenere vivi i rapporti.
“Io adoro Walter Scott... Poi nutro un affetto sincero per la mia copia malridotta di Alice nel paese delle meraviglie, il mio primo libro.”
Quali sono le letture preferite di Jessica Brickmole?
Sono cresciuta amando i romanzi di Laura Ingalls Wilder, l’autrice de “La casa nella prateria”. Mi sono sempre piaciute le vicende di persone che sono vissute nel passato, in luoghi lontani.
Poi ho amato le opere poetiche di Walter Scott, i personaggi di Jane Austen, le storie delle sorelle Brontë…
“Skye si trova al largo della costa nord-occidentale della Scozia. È un'isola verde, selvaggia e incontaminata, di una bellezza tale che non potrei immaginare di vivere altrove.”
Come nasce la collocazione di Elspeth Dunn, sull’isola di Skye?
Abbiamo trascorso una vacanza lì e sono stata colpita dalla natura primitiva e dall’isolamento geografico, ancor più accentuato prima della costruzione del ponte. L’isola riecheggia di poesia, storia e mitologia. Basta dare un’occhiata alla cartina dell’isola per leggerne la storia anche nei nomi dei luoghi.
“Qui si dice che il mare sia infestato dall’each uisge, un cavallo marino che trascina a fondo le vittime e le dilania con le sue fauci, risparmiando solo il fegato, che risale in superficie ed è uno spettacolo orribile a vedersi. Essendo cresciuta ascoltando racconti siffatti, perché mai dovrei avventurarmi nell’acqua?”
Parliamo dei protagonisti. Di Sue mi hanno colpito la determinazione e la fobia ad abbandonare l’isola…
Io stessa ho sperimentato la paura di separarmi e allontanarmi dal mio mondo. Non ho paura dell’acqua, ma la decisione di trasferirmi in Scozia è stata coraggiosa. Questa determinazione l’ho trasfusa nel personaggio di Sue. Come autrice, penso che lo stesso processo intervenga nella scrittura e nella pubblicazione dell’opera: un percorso che richiede coraggio e determinazione.
Tra i due interpreti della storia d’amore forse il più romantico è David: aspira a fare il ballerino, tradisce i sogni del padre, è inconcludente (“Io trascorro le giornate a rapinare banche insieme con la gang di Jesse James, con altri fuorilegge nonché con svariati cowboy”) e naïf (È uno “la cui impresa più illustre contemplava un sacco pieno di scoiattoli”), quando decide di partire per la guerra lo fa per vocazione umanitaria, scrive favole…
All’inizio del romanzo David è un ragazzino. Non sa ancora ciò che vuole, è soltanto all’inizio della vita. Poi parte per la guerra, capisce molte cose e cresce. Così matura ideali potenti.
“Una corrispondenza durata anni, facendo emergere tracce d'amore tra le righe e le macchie d'inchiostro; un ardore alimentato dalla posta, anziché dalla luna e dalle maree.” Secondo te è davvero possibile l’amore “a distanza”?
Sì, ci credo. Non per mia esperienza personale, ma molti amici, lettori e lettrici mi raccontano della loro esperienza di amori tenuti in vita nonostante la lontananza.
“Davanti alla cattedrale di Saint Mary, tu aspettavi una Elspeth Dunn ideale: non volevo che restassi deluso da quella reale.”
L'amore ai tempi delle lettere, in fondo, è per certi versi simile all’amore ai tempi dei rapporti virtuali: “il timore che, se ci fossimo incontrati, sarebbe svanito il mistero. Forse non saremmo andati d'accordo come sulla carta, non saremmo riusciti a discorrere come siamo abituati a fare...” Cosa ne pensi al riguardo?
La lettera consente un rapporto più approfondito e meditato rispetto alla posta elettronica o alla chat. Però è vero, il meccanismo di fondo è il medesimo. La mia partner di scrittura l’ho conosciuta on line. Siamo diventate amiche, per anni non ci siamo mai viste. Ci scrivevamo frequentemente, poi finalmente abbiamo deciso di incontrarci. Mentre mi recavo da lei, avevo paura di incontrarla: paura di rinunciare alla felicità di un rapporto che funzionava molto bene in maniera virtuale. Fortunatamente non è stato così: sono stata felice di conoscerla. Al tempo stesso, quando ci siamo salutate, sono stata contenta di riprendere il nostro rapporto “immateriale”.
Ringraziamo Jessica per la gentilezza con la quale ha risposto alle nostre domande. Nel conoscerla di persona, abbiamo “assaggiato” anche nella sua presenza la stessa grazia del suo scrivere.
Bruno Elpis
Foto: Sarah Lyn Acvedo. All rights reserved