Magazine Cinema
Continua la lunga serie di film scongelati e tirati fuori dal congelatore: London Boulevard e sopratutto Zack & Miri, e Bronson, due film del ..2008!
Inoltre è da sottolineare che per la seconda volta in una settimana un film in sala ci ricorda Kubrick e in nessuno dei due casi il paragone è forzato..
TRAMA
Bronson si presenta alle telecamere affermando che ha sempre desiderato diventare famoso. Peccato che non sappia né cantare né recitare, così ha deciso di puntare tutto su un’altra sua caratteristica e farne un punto di forza: la sua violenza.
Inizia così a raccontare las storia della sua vita, che noi vediamo alternata al suo show davanti alla telecamera: infanzia, gioventù, carcere e clinica psichiatrica: cult la sequenza in cui lui e altri pazienti, completamente sedati, vengono invitati a ballare sulle note di It’s a sin dei Pet Shop Boys. Il ragazzo esce dalla clinica completamente rincoglionito (non vi ricorda nessun Alex?), comincia a lavorare, ha una storia, ma poi di rimette nei guai con alcuni incontri di boxe clandestino e un furto.
Internato nuovamente, sempre scontroso, violento e dal pugno facile, finisce in isolamento a vita.
Sentenza esagerata?
Considerando che nel nostro paese tanti assassini circolano liberamente, direi di sì, ma non è questo di cui voglio discutere e non voglio nemmeno scrivere il nome del vero criminale a cui la storia è ispirata, per non fargli un favore. Bronson è infatti il nome d’arte che si è scelto lui in onore di un altro celebre lottatore, Charles Bronson de Il Giustiziere della notte.
Il nostro Bronson non ha mai giustiziato nessuno, ma semplicemente menato molti sbirri e per questo è ancora in carcere d’isolamento in Inghilterra.
RECENSIONE
Nicolas Windig Refn ne trae un film a tratti davvero straordinario, accusato di spettacolarizzare la violenza.
A queste accuse il regista ha risposto che la violenza nel film ha comunque una valenza negativa, ma soprattutto che l’arte stessa è violenza perché distrugge le norme.
La storia di un giovane delinquente, sempre più violento e allucinato, le atmosfere Sixties, il volto truccato, la musica classica: impossibile non pensare a Arancia Meccanica, anche quello accusato di spettacolarizzare la violenza.
Bronson è un film colmo di scene cult: il protagonista truccato che si esibisce davanti a un’immaginario pubblico, lui che torna a casa rimbambito dai farmaci, le scene in prigione, di grande brutalità ma anche grande impatto visivo.
Anche io ho trovato il film troppo compiacente con questo personaggio e nonostante i numerosissimi momenti ironici e allucinatori, non l’ho trovato affatto divertente. Ma va riconosciuto a Windg Refn di aver messo in scena un ottimo film con mezzi davvero esigui: una fotografia spettacolare, un montaggio eccezionale, una colonna sonora superba che mischia bellissima elettronica e classica (Marcia funebre di Sigrido di Wagner, La vergine degli angeli, Va’ pensiero e Attila di Verdi, Puccini, Strauss) ma soprattutto un monumentale (in tutti i sensi) protagonista: Tom Hardy che per l’occasione si è sottomessa a una trasformazione psico-fisica impressionante. Nella voce, nei modi e nel fisico: ingrassato, rasato, imbruttito e spesso nudo, uno dei tanti attori feticcio di Nolan, si è reso irriconoscibile e ha dato una prova davvero meritevole di ogni lode ma purtroppo passata del tutto inosservata, come il film stesso: uscito in Uk nel 2008, accolto bene dalla critica in USA ma distribuito poco e male in tutto il mondo a partire dal 2009, il film arriva in Italia solo oggi.
VOTO : 7,5
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