Magazine Cultura
El Ahwat e gli Shardana nel Vicino oriente
di Giovanni Ugas
Ubicazione e inquadramento cronologico
Il sito di El Ahwat, scoperto e parzialmente indagato da Adam Zertal, consta di un insediamento abitativo, esteso per circa tre ettari, difeso da una cinta muraria che si sviluppa in asse Nord–Sud per circa m 235 e in asse Est-Ovest per circa m 140. Stando alle prime indagini l’arco vitale della cittadella si protrae per un periodo limitato, dal 1230 circa al 1170/60 a.C., dunque in un momento di passaggio tra il Bronzo finale e il Ferro I, e soltanto dopo una lunga cesura l’area fu nuovamente frequentata a partire dall’età tardo romana per scopi agricoli. La cittadella di El Ahwat insiste in prossimità dell’attuale villaggio di ‘Ar ‘Arah sulle propaggini collinari che dominano ad Ovest il mare e il tratto della piana di Sharon tra Cesarea Marittima e Tell Dor, mentre a Nord-Est ha sotto lo sguardo la via Maris che dall’Egitto, attraverso la piana di Megiddo e la valle di Jezrael, conduce a Damasco e verso l’area mesopotamica. Per la sua posizione El Ahwat si presta bene al controllo del passo di Wadi ‘Ara (Nahal Iron), l’egiziano ‘Arunah, e doveva far parte dello scacchiere difensivo comprendente anche i vicini insediamenti fortificati di Tel Assawir, Ta’anach, e Megiddo controllati dai re della terra del Nilo.
All’interno delle mura, Adam Zertal riconosce quattro quartieri insediativi. Le prime indagini in alcuni quartieri evidenziano la presenza di strutture edilizie a più ambienti quadrangolari, con zoccolo murario in pietre locali e pareti da restituire in mattoni di fango, ascritte agli ultimi decenni del XIII – prima metà XII a.C. Alcune di queste costruzioni a più vani contengono impianti per la produzione dell’olio e per la metallurgia del ferro. Si è di fronte a edifici legati alla vita urbana quotidiana, almeno in apparenza privi di particolare rilevanza sociale.
In un quartiere appaiono, diversamente, i resti di un grosso impianto edilizio a vani quadrangolari, con muri più spessi costruiti con pietre di maggiore dimensione e accuratezza. Anche in base alla rilevanza dei manufatti ivi rinvenuti (scarabei egiziani, coperchio a testa di capra ibex in avorio visibile nella ricostruzione di di Stefano Gesh, sigillo in bronzo a testa di divinità femminile ed altro), questo grande edificio, che doveva svilupparsi su più piani, è giustamente considerato il palazzo della cittadella, la residenza amministrativa del comandante militare, il governatore di un piccolo distretto territoriale. La planimetria della costruzione si avvicina a quella dei palazzi delle guarnigioni egiziane nei territori provinciali.
Dai resti affioranti e dai primi interventi di scavo, emerge un perimetro delle mura piuttosto irregolare sul quale, secondo Zertal, non ha influito la morfologia del suolo, caratterizzato da un declivio lieve e piuttosto uniforme. Soltanto poco fuori le mura, per un breve tratto a Sud-Ovest non lontano dalle prime propaggini dell’attuale abitato di ‘Ar’arah, il banco di roccia forma una scarpata interessata da una decina di ipogei artificiali, dai lavori di una cava per l’estrazione di grandi massi calcarei d’età da determinare, dalla fonte d’acqua di ‘Ain ez-Zeituneh. Solo il lato nord della cinta mostra un tratto (quello occidentale) a sviluppo pressoché rettilineo, lungo la curva di livello dei 310 metri sul livello del mare, disposta in asse Nord-Sud; in prossimità fuori le mura, quasi in linea con la stessa isoipsa, si riscontrano due edifici costruiti in pietre poligonali, a pianta circolare, coperti con la volta a tholos.
Il rapporto con la civiltà nuragica e torreana
Il perimetro delle mura della cittadella (City Wall), con tratti dal profilo concavo-convesso e a linee spezzate, a giudizio di Zertal, deve la sua irregolarità a peculiarità stilistico-formali di costruttori estranei alle esperienze edilizie locali. A suo avviso, portano alla medesima conclusione anche i due citati edifici a tholos e quattro piccoli brevi corridoi chiusi (o nicchie), ricavati in diversi tratti della muraglia e introdotti da una bassa porta a luce rettangolare. Lo studioso è attratto soprattutto dal piccolo ambiente ovale (diam. ca. m 3,5 esterno e m. 2,0 interno) coperto a volta e perciò definito a “igloo” (cioè a “tholos”), preceduto da un breve corridoio rettangolare, ubicato sulle mura in adiacenza alla Torre. Il disegno della struttura è messo a confronto da Zertal con analoghe planimetrie di nicchie, vani e corridoi delle fortezze nuragiche in Sardegna e della civiltà torreana in Corsica. In particolare sono rilevate analogie con i corridoi e le camere della fortezza nuragica di Su Mulinu di Villanovafranca ubicata a Nord-Est di Cagliari, alla distanza di circa Km 60, di altri nuraghi arcaici (protonuraghi) della Sardegna e delle torri corse. Nelle stesse isole l’archeologo nota l’andamento irregolare, sinuoso e a linee spezzate delle mura esterne di nuraghi sardi e casteddi corsi, a riscontro del perimetro del City Wall e ancora costruzioni in pietre simili, per la pianta e la volta, ai già citati edifici, dal contorno, sia esterno che interno circolare (diam. esterno m 4,0) e provvisti di piccolo ingresso a luce rettangolare (h. m 1,10; largh. 0,60), costruiti con massi poligonali.
Altre somiglianze sono rilevate da Zertal negli elementi di cultura materiale. Per la tecnica e per la sintassi ornamentale, si avvicinano alle ceramiche nuragiche alcuni frammenti fittili di El Ahwat decorati con trattini disposti “a chevrons” e con un allineamento di grossi punti. Viene sottolineato che nel Vicino Oriente soltanto in El Ahwat, egli sottolinea, la tecnica impressa a puntinato è abbinata alla fascia di segmenti spezzati incisi (disposti “a chevrons“) come nelle ceramiche sarde. Valutando le analogie e le differenze, anche alla luce delle indagini più recenti, tra la documentazione di El Ahwat e la cultura nuragica, Zertal è giunto alla conclusione che nella cittadella operasse un nucleo di guerrieri Shardana al servizio dei re egiziani, prima Meremptah e poi Ramesse III. A prima vista, lo studioso era orientato a prospettare anche l’ipotesi di una fortezza costruita e gestita direttamente dai Popoli del Mare, ma i ritrovamenti nel loro complesso, in particolare quelli del 1997 compiuti nell’edificio amministrativo, lo hanno indotto a considerare El Ahwat una fortificazione residenziale egiziana con una guarnigione degli Shardana. Inoltre, ipotizza la caduta di El Ahwat a seguito di un precoce intervento delle genti israelitiche, in espansione verso la valle di Jezrael.
L’architettura di El Ahwat e il mondo dei nuraghi
Come ha osservato Zertal, non è possibile paragonare puntualmente l’architettura di El Ahwat con quanto propone la Sardegna nuragica. Va detto, in primo luogo, che i villaggi sardi del Bronzo recente e finale (1330-900 a.C.) non erano protetti da mura esterne, come in genere nella precedente fase protonuragica (circa 1600-1330 a.C). Eccezionalmente è recintato da una grande muraglia turrita esterna il villaggio costruito attorno al nuraghe Losa di Abbasanta, ma di questa cinta non si conosce la cronologia. L’area in cui sorgono queste mura non è indagata, ma la presenza in superficie di manufatti d’età romana e bizantina fanno propendere per l’attribuzione della cinta del villaggio ad età postnuragica. Fanno eccezione alcuni protonuraghi e villaggi del Bronzo Medio, come quelli di Frenegarzu di Bortigali e Monte Sara di Macomer, sono in rapporto con recinti megalitici, privi di torri lungo il perimetro, del tutto analoghi alle costruzioni difensive di Monte Baranta di Olmedo e Monte Ossoni di Castel Sardo che circondano aree abitative prenuragiche. In queste mura si osservano soltanto i corridoi piattabandati a luce quadrangolare delle porte. Perciò, il confronto, piuttosto, deve riguardare i nuraghi e non i villaggi. Nei nuraghi, mancano corrispondenze precise per le lunghe e basse nicchie di El Ahwat “a stretto corridoio” di sezione quadrangolare coperte a piattabande. Le nicchie dei nuraghi sono in genere di pianta quadrangolare o ovale (poco profonde, larghe e alte), con ingresso rettangolare o a ogiva, e ubicate solo eccezionalmente nelle cortine murarie, mentre di norma si aprono all’interno delle torri e negli alti anditi e corridoi. Ad esempio, la nicchia sulla cortina tra le torri H e I nella cinta esterna di Su Mulinu di Villanovafranca. Le nicchie dei nuraghi connesse con le porte fungono da postazioni di guardia, mentre le altre sono adibite a ripostigli e stipi a muro. Talora, però, si osservano nicchie a “L”, simili ad una cella di El Ahwat, nei nuraghi della zona centro-orientale e nord-orientale della Sardegna (nuraghi Nastasi di Tertenia e Mannari di Illorai).
Le nicchie a L sono invece molto comuni nelle Torri e nelle cinte dei Casteddi della Corsica meridionale, come quelle di Alo Alto-Bisugjé di Bilia, Argiusta Moricciu di Foce, Cuccuruzzu di Levie e Arraggiu (San Gavino di Carbini).
Diverso è il caso della struttura contraddistinta da una cameretta coperta a tholos preceduta da un corridoio rettangolare in asse chiuso da piattabande. In un primo momento, Zertal ha avvicinato questa struttura alle celle ovali o oblunghe di sezione troncoconica, precedute da corridoi dei protonuraghi (Su Mulinu, Friorosu di Mogorella); tuttavia le celle di queste fortezze sarde, decisamente più alte e più grandi, non sono ubicate ortogonalmente alla cortina muraria come a El Ahwat e si aprono su corridoi interni al bastione o alla cinta esterna della fortezza, benché si possa prospettare la medesima funzione di guardiole e ripostigli. Ad esempio, Su Mulinu, vano a (interno): alt. m 2,75, diametri m 2,54 e 3,05. Nei nuraghi, i vani ovali o ellittici cessano nell’uso intorno al 1330 a.C. e anche prima i corridoi di sezione quadrangolare coperti a piattabande- per lasciare il posto alle camere circolari e ai corridoi con volta ogivale, tipici del Bronzo recente e finale sardo. Va aggiunto che l'uso degli ambienti nuragici ovali o ellittici cessa già negli ultimi decenni del XIV secolo, sostituiti da quelli a pianta circolare ed è improbabile pertanto una relazione diretta con le esperienze costruttive sarde del XIII-XII secolo. Tuttavia, nella cella con corridoio in asse di El Ahwat, la forma ellittica parrebbe provocata da un cedimento strutturale, e, pertanto, il contorno doveva risultare originariamente circolare come nei tholoi esterni alle mura. Stando così le cose, sul piano formale e cronologico alla pari di queste due costruzioni anche questa cella è confrontabile con i tholoi nuragici del XIII-XII a.C.
A questo punto, bisognerebbe spiegare le differenze macroscopiche nelle dimensioni degli edifici e nella tecnologia. Rispetto agli ambienti dei nuraghi, i tholoi di El Ahwat risultano assai più modesti e costruiti con pietre poligonali di pezzatura medio–piccola, non megalitica. Va considerato, al riguardo, che, la cinta di El Ahwat priva di torri circolari, segue i canoni delle fortezze egiziane e cananee e non di quelle nuragiche e pertanto eventuali elementi di architettura occidentale necessariamente dovevano adattarsi a preesistenti disegni costruttivi locali. L’impressione è che i costruttori di El Ahwat abbiano fatto uso di celle piccole e basse e di corridoi stretti perché realizzabili rapidamente con coperture piatte o con la volta tronca (impiegando lastre relativamente piccole), perché indotti dagli spazi esigui nella cinta, dalla poca disponibilità di pietre grandi e, soprattutto, dalla necessità di concludere le opere in tempi brevi. Sono documentate analoghe eccezioni, ma con l’impiego di grandi lastroni, nei vani sussidiari ubicati sulle cortine della cinta del Bronzo recente II (circa 1270-1150 a.C.) del nuraghe su Mulinu di Villanovafranca. Qui le volte sono tronco-ogivali e piattabandate anziché ogivali, perché i vani erano piuttosto bassi.
Sul piano formale e cronologico, risultano più coerenti con l’architettura dei nuraghi le costruzioni circolari ubicate a poco fuori le mura, a Sud. Queste, prive della sommità, dovevano presentare la camera coperta a tholos o a igloo di sezione ogivale come si evince dall’aggetto del paramento murario interno. Si riscontra in analogia anche l’apparecchiatura poligonale e la sovrapposizione a incastro dei massi come spesso avviene in ambito nuragico. Inoltre furono costruite sopra suolo. Tuttavia le dimensioni di questi edifici (diametro esterno m 5,00 e interno meno di m. 3,00) sono distanti da quelle delle monumentali torri nuraghi, mentre dovremmo aspettarci costruzioni poderose e imponenti come le citate grandi torri di El Malfuf che impiegano filari regolari di grossi massi. A ragione di ciò e in considerazione della pianta circolare, Zertal propende a ipotizzare che queste costruzioni fungessero da capanne. Occorre osservare, però, che l’altezza limitata dell’ingresso, le ridotte dimensioni della camera e soprattutto la copertura a tholos in pietra non sono in sintonia con le capanne circolari nuragiche, che, diversamente, terminavano con una copertura lignea impostata su uno zoccolo murario.
Le caratteristiche costruttive e la collocazione fuori le mura dei tholoi si addicono non certo a residenze di capi, ma piuttosto a semplici “torricelle” per le vedette. Si può pensare anche ad una funzione funeraria perché dimensioni così ridotte e analoghe forme presentano alcune tombe “a tholos” cretesi che, però, in genere sono interrate, mentre le costruzioni di El Ahwat risultano totalmente aeree, sopra il banco di roccia. Spesso, inoltre, le camere sepolcrali egee sono precedute da un andito, del tutto assente a El Ahwat. Peraltro, in ambito geografico vicino e medio-orientale le volte sono note soprattutto in tombe a camera di pianta quadrangolare, come quelle di Ugarit; tombe quadrangolari con volta ogivale, a conci isodomi; tombe con volta tronco ogivale ma con copertura e pareti parzialmente rifatti su un paramento di lastre, mentre risultano poco diffusi gli edifici considerati funerari col vano circolare (Megiddo, Dan e Aphek), peraltro interrato. Questi ultimi edifici con volta sono stati avvicinati a modelli miceneo-cretesi. In Sardegna non esistono tombe megalitiche a camera circolare con la volta costruita come quelle cretesi e micenee mentre, sia pure limitatamente alla zona di Sassari, sono noti tholoi ipogeici a pianta circolare o ellittica con la volta, privi di rivestimento parietale in pietra come in Sicilia e nel Peloponneso occidentale, ma senza dromos. Soltanto la tomba ipogeica di Oridda di Sennori, con camera allungata siluriforme, mostra un rivestimento parietale.
Certo è che le vicine tombe a tholos di Megiddo sono a pianta quadrangolare e non circolare. Se avessero una destinazione sepolcrale, i tholoi fuori le mura di El Ahwat richiamerebbero piuttosto i sesi di Pantelleria, pure costruiti soprassuolo con massi poligonali; qui, però, le camere funerarie, ellittiche o circolari e precedute da corridoi piattabandati, sono incluse a gruppi all’interno di un grande monumento megalitico tumuliforme. Pertanto, anche a proposito dei tholoi si può dire che a fianco ad elementi che possono richiamare l’architettura nuragica, altri si discostano. A mio modesto parere, nelle mura perimetrali dell’insediamento di El Ahwat vi sono tratti di età romana addossati a quelli preesistenti del Bronzo Finale ed altri ancora più recenti dovuti a bonifiche agricole. A scavo non ancora concluso, è difficile definire con esattezza i percorsi della cinta muraria più antica, i rifacimenti d’età romana e le aggiunte d’età mammalucca e di natura agricola moderna. Per quanto attiene l’ipotesi di attribuzione dei corridoi e degli “igloo” delle mura di El Ahwat a più recenti consuetudini agricole etnografiche formulata da Finkelstein, che Zertal scarta decisamente, va osservato che effettivamente è piuttosto agevole la realizzazione di stretti corridoi coperti da piattabande o con volta ribassata, e infatti questi risultano molto diffusi anche in ambiti etnografici di tante regioni. Diversamente, però, sono richieste soluzioni tecniche non comuni, legate ad esperienze radicate nel territorio, per le costruzioni sopra suolo di vani circolari coperti con il tholos mediante l’uso di pietre poligonali. Tradizioni etnografiche relative all’edificazione di grandi vani coperti a tholos si riscontrano non a caso in Sardegna (capanne absidale coperte a volta allungate di Santa Cristina di Paulilatino, Giara di Gesturi), nei trulli della Puglia, in edifici delle Baleari, come quello di Pont de Bestiar di Minorca, che continuano i talajots, e in altre aree occidentali dove esiste un lungo sostrato architettonico legato ad esperienze ataviche nella costruzione della volta in pietra. Verosimilmente presso le comunità della zona rimase viva fino ai tempi moderni una esperienza radicata nel costruire la volta di pietra in vani circolari soprassuolo, e bisogna riconoscere una tradizione costruttiva che non sembra diffusa in ambito costruttivo vicino-orientale. Bisogna risalire alle fortezze transgiordane di Malfuf per osservare altri esempi, analoghi, più maestosi e più recenti di costruzioni circolari nella stessa area o in zone vicine.
Va sottolineato, però, che nella cittadella di El Ahwat è documentato il caso eccezionale di vani provvisti di coperture a volta in una costruzione fortificata dell’Est mediterraneo attribuita già al XIII-XII a.C. Nelle fortificazioni dell’Egeo e in genere del Mediterraneo orientali si trovano, porte, corridoi e gallerie coperti a volta ma non vani. Nel Bronzo finale, questa caratteristica si riscontra esclusivamente nell’architettura difensiva sardo-corsa e balearica che adotta torri circolari diversamente dalle fortificazioni orientali dove le torri sono quadrangolari.
Invero, l’architettura di El Ahwat trova rispondenze ancor più significative nell’isola gemella della Corsica. In alcune torri, come quelle dei casteddi di Arraggiu e di Cucuruzzu, si riscontra sia il contorno irregolare della cinta costruita a difesa del mastio centrale, sia la presenza di celle circolari e ovali precedute da corridoi rettangolari, inserite all’interno delle stessa cinta, proprio come nella struttura a cella di El Ahwat. La tipologia della torre centrale e la pianta circolare della camera di uno di questi ambienti suggerisce per Arraggiu la cronologia del XIII secolo. Allo stesso periodo, appartiene la cinta esterna di Cucuruzzu, a giudicare da una torre circolare e dalle feritoie lungo la cinta dal profilo regolare concavo-convesso, che fu aggiunta ad una preesistente torre con vano ellittico del Bronzo medio. Proprio in Corsica è stato prospettato l’arrivo degli Shardana da parte di Grosjean secondo il quale le immagini antropomorfe con terminazione cornuta del capo, corazza e spada a lama larga ed elsa lunata, scolpite in rilievo sulle statue-stele di Cauria e di altri siti corsi, richiamano i guerrieri che affrontò Ramesse III in battaglia navale. Non si può però accettare l’idea del Grosjean che i menhir della Corsica fossero coevi o successivi alle rappresentazioni iconografiche degli Shardana a Medinet Habu e fossero innalzati a seguito dei movimenti dei Popoli del Mare da Est verso Ovest. La lettura del Grosjean, tuttavia, si scontra con il fatto che le spade corse sono confrontabili con quelle a lama piatta usate dagli Shardana a Kadesh e non già con quelle illustrate a Medinet Habu con nervatura o costola mediana in rilievo, e pertanto debbono essere attribuite al più tardi agli inizi del XIII secolo, non agli inizi del XII. Gli Shardana della Corsica, dunque non derivano da quelli di Medinet Habu e poiché le precedenti spade a lama larga triangolare piatta non risultano adottate prima della battaglia di Kadesh da alcun popolo del Mediterraneo orientale mentre invece sono diffuse in Occidente (Iberia e Sardegna) dobbiamo pensare piuttosto che gli Shardana della Corsica non siano altro che Sardi trasferitisi dalla vicina isola.
Infatti, così come sostengono anche gli stessi studiosi corsi, le torri derivano sul piano formale e tecnologico dai nuraghi sardi sia perché questi ultimi sono decisamente più rilevanti sul piano numerico e monumentale, sia perché le torri sono limitate alla sola parte meridionale dell’Isola, quella prospiciente la Sardegna, dove pure sono ubicate le statue stele di Cauria e l’abitato di Sartena che richiama nel nome, la Sardegna e gli Shardana. Il nome della città di Sartena, ubicata nell’area meridionale della Corsica interessata dagli influssi nuragici, si raccorda con quello della cittadina di Sarteano in Toscana, la terra dei Tyrreni. Sartena (variante di Sardena), con tipico suffisso corso ed etrusco -ena (corrispondente al latino –ina, in sardina, nome di pesce) doveva significare “sarda, della Sardegna”. Per l’ambito corso-gallurese si vedano ad esempio i toponimi con suffisso –ena di Arzachena (Riu, Stazzi), Mannena, e (Riu d’) Ansena nell’agro dell’omonimo abitato di Arzachena, (Punta d’) Aratena di Olbia, Aratena di Tempio (Riu, Stazzi), Curichena di Santa Teresa e altri. Si ripete l’oscillazione tra d e t che si riscontra in Seertanni e Seerdani delle iscrizioni ugaritiche.
In ogni caso, nella seconda metà del II Millennio a.C., l’architettura monumentale della Corsica è strettamente ancorata a quella nuragica e dipende da essa, così come sono affini tra le due Isole, la struttura politica e in parte socio-economica. Anzi, la Gallura, la zona nord-orientale della Sardegna e la Corsica centro-meridionale fanno parte di un unico sistema geo-morfologico (pressoché esclusive rocce granitiche) e culturale a partire dal Neolitico, come ben ha scritto Giovanni Lilliu. Perciò, se gli Shardana posero piede in Corsica non vi giunsero da Est, ma dalla stessa Sardegna e non già al tempo di Meremptah e Ramesse III (fine XIII - prima metà XII a.C.), bensì fin dal XVI-XV a.C. Allora nell’isola di Kyrnos apparvero le torri simili ai protonuraghi e le spade simili, se non identiche, a quelle degli schermidori sardi di Sant’Iroxi di Decimoputzu e dei principi delle Isole ubicate nel cuore del Verde Grande (gli stessi Shardana) che portavano i loro doni ad Ashepsut e Tuthmosis III da soli o insieme agli ambasciatori di Keftiu (Creta).
Dei Corsi era noto, ancora in età romana, il carattere fiero e forte e la tradizione guerriera e, tenendo presente i rapporti stretti della loro isola con la Sardegna, la Liguria e la Toscana, se accettiamo le equazioni Shardana=Sardi, Liku =Lygues (Liguri) e Tursha=Etruschi, è pressoché certo che essi si unirono ai Sardi, ai Tursha e ai Liguri nei movimenti dei Popoli del Mare verso l’Est del Mediterraneo tra i quali figurano altre popolazioni del mare sardo-tirrenico, come gli Shekeles-Siculi. E’ possibile, in particolare, che gruppi di Corsi si siano uniti ai Sardi fin dal regno di Ramesse II e poi abbiano combattuto insieme con essi, i Tyrseni, i Liku e gli Shekelesh contro Meremptah.
La semplicità planimetrica e costruttiva nonché le ridotte misure delle nicchie allungate “a corridoio semplice di sezione quadrangolare” disposte in senso ortogonale sulle mura di El Ahwat trovano riscontro, per la forma e la disposizione, nelle nicchie che si aprono trasversalmente sulle mura di difesa dell’abitato di Cannatello nella Sicilia sud-Occidentale, riferite almeno nella prima fase al XIII secolo. Straordinariamente, questa cinta fortificata, dal contorno curvilineo, propone la stessa struttura “a sandwich” di El Ahwat, con doppio paramento e riempimento mediano, oltre che analoga ragguardevole larghezza (m 8). Va ricordato che questo sito sicano, avendo restituito ceramiche nuragiche del XIII a.C. e un frammento di oxhide ingot in rame, oltre che vasellame del Miceneo IIIA e IIIB, doveva essere in rapporto con un approdo intermedio sulla rotta tra la Sardegna e l’Egeo ed eventualmente l’Egitto.
D’altronde, El Ahwat è un luogo d’importanza strategica per la sorveglianza del passaggio di Arunah e di un tratto della piana di Dor dove si insediarono i Sikali. Ora, se gli Shardana, come è stato ipotizzato fossero originari della Sardegna, non è da escludere l’eventualità che gruppi di guerrieri provenienti dalla Sicilia (in particolare dal versante occidentale abitato dai Sicani) li abbiano affiancati già al tempo di Ramesse II e abbiano servito l’Egitto fino a che, nei tempi di Meremptah e Ramesse III, già prima che i Sikali, insieme ai Pelasti e agli Shardana, si insediassero nelle province orientali dell’Egitto.
I disegni ricostruttivi a colori della statuina a protome caprina e delle mura di El Ahwat sono di Stefano Gesh
Fonte del testo: www.gianfrancopintore.blogspot.com
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