Magazine Cultura
Turchia: il regno degli ittiti
di Pierluigi Montalbano
Il 2 luglio 1834 l'architetto Textier fu inviato in Anatolia per conto del Ministero della Cultura francese e scoprì, nei pressi del villaggio di Bogazkòy, a 150 km da Ankara, le rovine di un'antica città. Soggiornò nei pressi una decina di anni, compose numerosi disegni e rimase colpito da una serie di rilievi scolpiti nella roccia di un vicino massiccio, lo Yazilikaya (la roccia iscritta) che raffigurano divinità ed uomini armati, donne con vesti fluenti, animali selvaggi ed esseri mostruosi.
I resoconti di Textier vennero pubblicati nel 1835 e fanno il giro del mondo, attirando curiosità ed attirando un gran numero di visitatori. Alle clamorose scoperte di Textier ne seguono altre, altrettanto importanti, sempre nei pressi di Bogazkòy. I rilievi ricordavano le antiche figurazioni mesopotamiche. Che civiltà produsse simili opere d'arte?
La risposta venne dalla decifrazione delle scritture cuneiformi del Vicino Oriente. Nei pressi di Bogazkòy e di Yazilikaya, infatti, erano emersi segni geroglifici incisi che conducevano ad un'antica lingua, affine all'ittita, parlata nella parte meridionale ed occidentale dell'Anatolia a partire dal II millennio a.C. Nel 1874-1875 l'assiriologo Smith rinvenne una serie di rilievi e di simili iscrizioni geroglifiche a Gerablus, sulle rive dell'alto Eufrate, non lontano dall'odierna Turchia e Siria. Il sito venne identificato con l'antica Karkemish, il cui nome appare nelle fonti assire, egizie e bibliche. Alcuni attribuirono i geroglifici agli ittiti e si stabilì che questa potente e sconosciuta popolazione risiedeva nell'area siriana e nell'Anatolia sud-orientale.
Nel 1902 uno studioso norvegese annunciò di aver scoperto una nuova lingua indoeuropea esaminando due tavolette in terracotta con segni cuneiformi, rinvenute quindici anni prima in Egitto, a Tell el-Amarna, capitale di Akhenaton. Queste tavolette facevano parte di una corrispondenza diplomatica dello stesso faraone e di suo padre Amenhotep III. Una delle due tavolette, redatta in una lingua incomprensibile, era indirizzata al re di un paese chiamato Arzawa. Questa lingua era simile alla lingua delle tavolette rinvenute a Bogazkòy.
Nel 1906 l'assiriologo Winckler e l'archeologo turco Makridi iniziarono lo scavo archeologico a Bogazkòy. Vennero immediatamente alla luce numerose tavolette scritte sia nella sconosciuta lingua di Arzawa, sia in accadico. Alcune di esse riportavano la corrispondenza e le bozze degli accordi politici intercorsi tra il re della città ed altri sovrani, tra cui il faraone. A questo punto fu chiaro che Bogazkòy non era stata una città qualunque, ma una grande capitale antica, Hattusa, capitale della terra di Hatti, sede di re che furono tra i più potenti sovrani durante i secoli che vanno dal XIV al XIII a.C. Una delle tavolette rinvenute durante la campagna di scavo del 1906, in particolare, offre la misura del potere raggiunto dalla gente di Hatti. Si tratta di un frammento fittamente iscritto che contiene un documento straordinario: il più antico trattato di pace finora noto, siglato nell'anno 1259 o 1258 a.C. dal re Hattusili III e dal faraone egiziano Ramses II a seguito della battaglia di Kadesh, sull'Oronte. Una copia di questo trattato di pace è ora esposta nell'atrio dell'edificio delle Nazioni Unite a New York. In essa si stabilisce un patto di non aggressione reciproca, l'impegno ad una comune difesa contro terzi, un accordo sull'immunità dei rifugiati. I documenti originali del contratto, iscritto su lastre d'argento e convalidate dal sigillo reale, sono andati perduti ma si sa che queste lastre erano conservate nei santuari delle rispettive capitali.
Gli scavi ad Hattusa, iniziati nel 1906, sono ancora oggi in corso ad opera dell'Istituto Archeologico Germanico. La capitale era circondata da una poderosa cinta muraria di oltre 6 km di lunghezza. Una prima cinta, più breve, racchiudeva una superficie di 75 ettari. Tra il XIV ed il XIII secolo a.C. vennero edificate le nuove mura cittadine su una serie di ripidi massi rocciosi che ampliarono la superficie cittadina a 181 ettari. A sud si ergeva la città alta, al centro, su uno sperone di roccia, la fortezza grande, dove sono emersi anche i resti di un vasto palazzo reale con ambienti residenziali, i magazzini, la sala delle udienze. A nord, nella vallata, si trovava la città bassa con l'area sacra dominata dal tempio monumentale dedicato alle due principali divinità del paese: il dio del Cielo e la dea del Sole. Le mura erano interrotte da tre grandi varchi: la Porta dei Leoni, la Porta delle Sfingi e la Porta dei Re.
Gli archivi del palazzo di Hattusa hanno restituito circa 30.000 tavolette dalle quali si è potuto comporre un quadro preciso sull'organizzazione sociale, politica e religiosa della civiltà ittita.
Il regno degli ittiti sorse nel XVII a.C. in Anatolia centrale.
Nel periodo di massima espansione (XIV-XIII a.C.) comprese gran parte dell'attuale Turchia e della Siria. Politicamente il regno di Hatti era uno stato feudale, composto da "terre interne" e da una serie di stati vassalli o "terre esterne". A capo di questo stato era un re che, al contempo, amministrava la terra, svolgeva funzioni da sommo sacerdote, giudice e capo dell'esercito. La carica regale era trasmessa di padre in figlio. Le decisioni politiche più importanti venivano discusse e deliberate nel bangu, assemblea della nobiltà ittita.
Ogni cittadino versava un contributo in giornate lavorative od in natura per mantenere la corte ed il tempio. Gli ittiti avevano anche degli schiavi, di solito prigionieri di guerra, ai quali spettava una certa protezione legale. L'esercito era composto da fanteria e carri da combattimento su cui viaggiava un auriga, un arciere ed un portatore di scudo.
Il tramonto degli ittiti avvenne attorno al 1200 a.C. a causa di liti dinastiche, una decadenza interna, una serie di terremoti e l’invasione dei popoli del mare. Un incendio devastante rade al suolo l'imponente palazzo di Hattusa. Nello scavo gli archeologi non hanno ritrovato alcuna traccia o resto di arma, di arredo o recipiente che possa testimoniare della vita che si svolgeva, un tempo, all'interno del palazzo.
Nell'immagine la città di hattusa, capitale del regno ittita
Fonte http://blog.libero.it/Chimayra/trackback.php?msg=8252559
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