Magazine Cultura
Eccoli i nostri avi
di Pierluigi Montalbano
All'inizio dell'Età del Ferro, a partire dal IX a.C., i sardi sviluppano un gusto artistico che lega la metallurgia più raffinata (il metodo della fusione a cera persa) alla volontà di autorappresentarsi. Coevi alle statue giganti scavate a Monte Prama, i bronzetti nuragici sono il fiore all'occhiello delle botteghe artigianali sarde. Il grande archeologo sardo Giovanni Lilliu li descrive minuziosamente nel suo testo del 1966 "Sculture della Sardegna Nuragica", ma oggi possiamo ammirarli alla luce delle conoscenze acquisite nei successivi 45 anni. Nei prossimi giorni inserirò una serie di articoli (e immagini) che consentiranno un approfondimento su stile, forma e simbologia, e per iniziare questo viaggio nella bronzistica sarda della prima metà del I Millennio a.C. proviamo a leggere le espressioni di quegli incantevoli volti.
Ci osservano, si mostrano fieri, decisi, ma hanno tutti lo stesso sguardo interrogativo che pare suggerire una domanda: “Gli studiosi del XXI secolo d.C. capiranno chi siamo?”
Sembrano perplessi davanti alla nostra ignoranza. Erano convinti di aver lasciato una traccia indelebile nel tempo, un forte segnale che, attraversando i millenni, sarebbe arrivato forte e chiaro a illuminare la nostra ricerca. Ma
abbiamo perduto la memoria storica, non riusciamo più a distinguerli… eppure sono lì, a dimostrare con tutte le loro forze che parteciparono attivamente ad una società complessa e meravigliosa, in grado di produrre le più maestose architetture occidentali dell’epoca, e in grado al contempo di spingersi lungo il Mediterraneo per rapportarsi alle altre grandi civiltà del passato.
Osserviamoli con attenzione.
Illustri studiosi li dividono in due gruppi: popolani e guerrieri o, con più scrupolo, Uta e Abini-Teti. Qualcuno, forse più informato, aggiunge Ogliastra, a dimostrazione che tanti visi non possono essere racchiusi in due sole categorie. Ma io vorrei invitarvi ad osservarli ancora più nel dettaglio, desidero far rivivere per un istante quei volti, voglio capire insieme a voi perché hanno tutti caratteristiche così singolari, tanto da aprire la mente ad ipotesi suggestive che vedono una classificazione ad personam.
Nell’immagine ho sezionato solo le espressioni, così da agevolare le comparazioni. Solo uno fra questi personaggi nuragici appare in tutta la sua eleganza: passo incedente egizio e segno sardo di saluto, a simboleggiare un legame che i millenni non hanno cancellato. Ricordo due grandi statue identiche trovate (mi pare da Bernardini) negli anni Novanta nella necropoli di Sant’Antioco.
Una è stata restaurata malamente e sicuramente sarebbe stato il caso di lasciarla come era. L’altra è stata nascosta (tumulata nuovamente nella stessa tomba) perché le tracce di colore avrebbero forse svelato qualche segreto che non si vuole accettare. Ma passiamo oltre perché è troppo facile entrare in polemica quando le cose funzionano male.
Guardate i copricapo, gli occhi, la morfologia dei visi… sono quelli di tanti individui che appartenevano a popoli diversi, tutti rispettosi verso i sardi, tutti devoti nell’atto di offrire o impavidi guerrieri rappresentati nell’istante della sfilata dopo il trionfo.
Ecco cosa era la Sardegna: un luogo dove una moltitudine di popoli arrivava in segno di devozione, una terra nella quale le comunità si mescolavano fino a perdere l’identità originaria per diventare sardi. Vorrei che qualcuno dei lettori si cimentasse nel riconoscere alcuni volti. Io vedo magrebini, egizi, africani dell’interno, orientali, sudamericani… e voi?
Il collage di immagini è tratto da Lilliu, 1966, sculture della Sardegna nuragica
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