Una bottega stilistica per la bronzistica nuragica.
di Marcello Cabriolu
Dopo aver trattato l’evento riappropriazione, da parte del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, di una scultura di bronzo sarda custodita in un Museo degli States, mi è sembrato opportuno occuparmi di nuovo dell’argomento.
Sorvolando sulla pietosa questione al riguardo di opere palesemente legate al contesto storico sardo e circolanti sul Web per la vendita all’asta, argomento sul quale gli organi competenti sembrano manifestare impotenza, anche stavolta intendo occuparmi dell’analisi specifica di un tipico bronzetto sardo. Tale opera viene descritta sul Web come appartenuta a Wladimir Rosenbaum (1894-1984), vissuto ad Ascona, Switzerland e acquistata dalla R.G. collection, Calodyne, Mauritius, nel1977-85.
Il pezzo battuto come n.173 sigla GR0805 venduto per una non bene precisata somma consiste in una statuetta figurativa in bronzo di un arciere di 11,5 cm. Il guerriero riprodotto, per equipaggiamento e uniforme, appare inquadrabile nella tipologia di guerrieri pesanti, soldati cioè con ridotte possibilità di movimento causate dall’armatura (Cabriolu 2009 - Bronzetti: attribuzione difficile in Lacanas n° 41 V/2009 Ed. Domusdejanaseditore p.36 ) un micidiale potenziale offensivo dovuto alle armi in dotazione. Il milite stante, analizzato stilisticamente, sembra appartenere al gruppo figurato relativo alla produzione di Teti, raggruppamento già conosciuto e descritto sin dagli anni ’60 dal Prof. Giovanni Lilliu. Le caratteristiche principali che identificano tale “corrente stilistica” sono individuabili nel viso di forma semiconica dove un copricapo fornito di un vistoso paranaso interviene a formare il tipico schema a T rinvenuto in pezzi provenienti da diverse località quali ad esempio Urzulei oppure Alà dei Sardi.
La riproduzione degli occhi riflette con precisione le caratteristiche del gruppo d’appartenenza mostrando una forma circolare netta e precisa. La riproduzione presenta una rigidità consueta per le figure sarde dove appunto si può notare una testa alta con una figura quasi arcuata spavaldamente all’indietro, schematica esternante fierezza e impassibilità tipiche delle varie figure di comando o militari riprodotte nella bronzistica sarda. L’individuo mostra arti inferiori ben delineati e divaricati terminanti nei piedi scalzi, segno di rispetto portato alla Divinità, mentre gli arti superiori si posizionano nella classica postura del milite a “riposo” con il braccio destro quasi a 45° mentre quello sinistro regge il lungo arco.
Il copricapo del guerriero si presenta di forma ogivale coronato da una doppia fila di borchie e contraddistinto anteriormente da una decorazione a “pennacchio” mentre posteriormente presenta le immancabili bande frangiate, ad assemblare il pesante elmetto al collo del soldato, le quali segnano il retro del capo con una profonda scriminatura a “lisca di pesce”.
Il busto del milite appare ricoperto da un corsale a costine rifinito a mezze maniche sulla cui parte anteriore trova spazio la piastra porta punte assemblata come unicuum ad una faretra, collocata posteriormente alla figura, unita da bande triple di tessuto. L’addome della figura appare ricoperto dal terminale del corsale da cui si dipartono gli arti inferiori protetti superiormente da “cosciali” poi man mano che si scende verso i piedi segnati da schinieri e gambali borchiati alle caviglie.
Appare doveroso riconoscere che anche questo pezzo, un concentrato di particolari volutamente rappresentati dall’artista in undici centimetri, rappresenta un capolavoro della metallurgia. Ormai la quantità di statuette supera il mezzo migliaio di pezzi e come preannunciato precedentemente questa quantità permette confronti, paragoni e riflessioni.
Quasi a accompagnare stilisticamente questa figura appena trattata, propongo il confronto con il pezzo in bronzo, riproducente un arciere dalle lunghe corna, appena riscattato dal Nucleo TPC e rinvenuto al Cleveland Museum of Art – USA. L’arciere cornuto, forse un po’ frettolosamente, venne collocato nel Museo Archeologico di Sant’Antioco e tuttora viene lì custodito senza alcuna sorta di rivalutazione. L’accostamento dei due pezzi, anche solo istantaneamente tra le semplici immagini, genera un immagine straordinariamente speculare dove la precisa similitudine è interrotta unicamente dalla diversa tipologia di copricapo. Viso, arti, postura, armamento e uniforme: non un solo particolare differisce nel confronto frontale. L’eccezionalità della constatazione, almeno per chi scrive, rappresenta una grossa scoperta.
In un contesto - quello in cui vennero create le due opere - risalente all’Età del Bronzo e collocabile nel centro Sardegna verosimilmente agiva un fabbro, a cui vennero commissionate tutte e due le opere. Forte della tradizione metallurgica plurimillenaria, quel “frau”(fabbro) riuscì a creare le due opere ricalcando fedelmente le figure contemporanee e imprimendo il proprio stile nella resa fisica delle riproduzioni. Tale considerazione scaturisce dal fatto che i pezzi non venissero prodotti in serie, visto che la matrice probabilmente veniva distrutta per estrarre le opere, ma la capacità artistica dell’artigiano è tale e rimane riprodotta tuttora in maniera univoca da potersi considerare proveniente da un unico atelier.
Fonte: gianfrancopintore.blogspot.com