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Bruno Gambacorta: da Eat Parade alla tavola di tutti i giorni

Creato il 20 novembre 2013 da Sarahscaparone @SarahScaparone

Bruno (1)È un italiano vero, per dirla alla Toto Cutugno, perché è nato e ha studiato a Napoli, poi ha lavorato una dozzina d’anni a Milano e 18 anni, finora, a Roma. Ha sempre voluto fare il giornalista, ma prima di riuscirci si è laureato velocemente in Medicina con 110 e lode e tesi sui rischi professionali della danza.

È entrato in Rai vincendo una borsa di studio e ha aspettato quattro anni per essere assunto, finalmente, nel 1986. Dal 1987 è giornalista professionista e, da cinefilo e grande cultore del rock degli anni Settanta, nella sua second life (dopo quella di aspirante medico) ha frequentato  festival e concerti, registi e rockettari, prima di passare, nella sua terza vita, a cantine e cucine, chef e produttori di qualità. Gli piacciono i risotti e le bistecche di chianina, e impazzisce letteralmente per i dolci napoletani.

Con la moglie Luisa da 37 anni gira il mondo, anche se ha visto solo una cinquantina di paesi. È appena un po’ meno interista di Beppe Severgnini, affianco al quale ha assistito al trionfo di Madrid 2010.

Chi è? Ma il grande Bruno Gambacorta, una delle più note firme del TG2, oltre che inventore di Eat Parade, il primo telegiornale italiano dedicato all’enogastronomia, seguito mediamente da 2,5 milioni di spettatori ogni settimana ormai da 16 anni. Lo conosco da quando ho iniziato a occuparmi di uffici stampa nell’ormai lontano 2001 e credo sia stata una delle prime persone che ho contattato telefonicamente per presentarmi e per raccontare le attività promozionali delle Enoteche Regionali del Piemonte. Con lui, Alessio Trabucco e Dario Leone abbiamo girato delle memorabili puntate di Eat Parade sul vino piemontese: puntate che tornano alla luce ogni volta che ci incontriamo ricordando le tante risate che hanno accompagnato il lavoro di quelle stagioni. A lui, amico ormai da tanti anni, ho chiesto qualche commento sul rapporto viaggio e cucina, sui suoi gusti a tavola e su quanto la sua vita sia legata a questo settore.

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Io e Bruno qualche anno fa nel Monferrato

Quanto il cibo è importante per capire un popolo e la sua cultura? Non è il caso di scomodare Mario Soldati, ma certamente l’Italia si conosce meglio attraverso i suoi cibi, che cambiano da un comune all’altro e perfino da un quartiere al successivo, o da una contrada all’altra. Lo stesso vale per molti paesi di tutto il mondo: perfino negli Stati Uniti,  così omologati dal punto di vista gastronomico, ci sono differenze nella distribuzione sul territorio di alcune catene di fastfood! Perché quello che piace in Illinois non è detto che piaccia in Florida o in California, per quanta pubblicità uno possa fare.

C’è un luogo dove ancora non sei andato ma che vorresti visitare anche per le sue tradizioni culinarie? Mah, forse in questo momento l’Argentina incuriosisce tanti di noi: da Papa Francesco a Javier Zanetti, dai film (pochi ma buoni) al revival del tango, l’interesse per questo paese – nel quale la metà degli abitanti ha origini italiane –  è altissimo. Ed è ora di scoprirne i vini (che pure hanno già alcuni divulgatori importanti proprio fra i produttori  italiani che li distribuiscono in Italia o addirittura li fanno lì) e anche i cibi, che saranno certamente interessanti e gustosi, ben al di là della carne che già apprezziamo.

Qual è il cibo più strano che hai mangiato e dove? Fammici pensare… Premesso che sono abbastanza prudente – la laurea in medicina non mi è servita a molto, ma almeno mi fa intuire i pericoli -, forse certi gamberi di fiume grigliati alla buona nella foresta brasiliana di Rio Grande do Norte… Ero un po’ perplesso, ma la guida, molto affidabile, ci rassicurò e in effetti non ci successe niente di grave.

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Qual è invece il piatto più buono all’estero e quale il tuo preferito in Italia? Sushi e sashimi sono una cosa che amo molto, ovunque ci sia un minimo di sicurezza! In Italia, il risotto.

Ci racconti qual è il personaggio più incredibile,  legato al mondo del cibo, che hai incontrato per il tuo lavoro in televisione? Ricordo con molto piacere una scorribanda sulle montagne sopra Pinerolo, in una Panda 4 per 4, all’inizio degli anni Duemila. Finimmo in una malga dove intervistammo un pastore con capelli e barba rossicci, perfettamente abbinati al rame della caldaia dove preparava il formaggio… Un vero personaggio, una situazione irripetibile e che forse già adesso, dopo una decina d’anni, non esiste più.

Com’è nata l’idea di Eat Parade e quanti anni festeggia ormai? Eat Parade ha appena compiuto i 15 anni ed è entrata nella sedicesima stagione. La storia è lunga ma tutto nasce da una fortunata coincidenza: nell’ottobre del 1998 si era creato un piccolo spazio nel palinsesto, e l’allora direttore del Tg2 Clemente Mimun mi chiese di proporre un’idea per una rubrica. Da tre anni lavoravo con il nutrizionista Giorgio Calabrese a una serie di pezzi per Tg2 Salute, con un taglio quasi gastronomico (oltre che nutrizionale). La mia proposta fu di unire l’approccio del dietologo a quello dell’enogastronomo, e così partimmo con pochi minuti a mezzanotte… I risultati furono soddisfacenti e, passo dopo passo, eccoci qui a 15 anni di distanza!

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Com’è nata invece l’idea del tuo libro e… ne hai altri in cantiere? Il libro, che non a caso si chiama “Eat Parade” (edito da Vallardi e Rai Eri, ha vinto il premio “Libri da gustare” nel 2012), è stato il tentativo di mettere nero su bianco una quarantina di storie e di personaggi fra i più singolari o significativi fra quelli intervistati nelle ormai quasi ottocento puntate della rubrica. Penso sia stato un tentativo riuscito, ma non so se avrò voglia di ripetere lo stesso schema. Invece non mi dispiacerebbe scrivere un giallo, non appena avrò in mente una trama convincente.

Quanto il tuo essere napoletano – e la cultura gastronomica di questa terra – hanno influito sul tuo “palato”? Non saprei, diciamo che per alcune preparazioni – dalla pizza al babà, alla mozzarella – non mi sfuggono le versioni scadenti. Ma per altri piatti, come i risotti, interviene il lungo periodo trascorso a Milano… E adesso, a Roma, ho acquisito la mia idea del cacioepepe, e non mi faccio più fregare dalle imitazioni!

Tu cucini? Cosa preferisci preparare? E mangiare? Non cucino perché ho poco tempo e poca pazienza, ma aiuto mia moglie e spero di potermici dedicare quando sarò in pensione. Senza contare che sono sempre a dieta …

Vino bianco, rosso o birra? Per quali occasioni? Poco di tutto: come dice il professor Calabrese, a tavola si beve l’acqua e si assaggia il vino (vale anche per la birra, ovviamente). Sempre poco, insomma,  purchè ne valga la pena. Altrimenti meglio niente. In Italia, i vini del territorio nel quale sono. Allo stesso modo, se sono in Irlanda, Guinness tutto il tempo.

Secondo te, il cibo aggrega anche in tv e attraverso la tv? Penso di sì: se ogni settimana ci seguono due milioni di italiani significa che si è creato un legame fra noi e loro, e forse anche fra alcuni di loro, che magari ne parlano sui social network o quando si incontrano, o vanno a conoscere i posti e i piatti visti nella rubrica.

Hai un piatto del cuore legato alla tua infanzia o alla tua famiglia? Tutti i dolci napoletani: mio nonno  non concepiva una festa senza zuppa inglese, struffoli, torroni, babà o cassata, da dividere in porzioni abbondanti fra tutti i familiari presenti. Forse è per questo che sono così goloso!

Cosa ami di più del tuo lavoro? La possibilità di presentare cose buone e realtà positive, anche nelle zone più disgraziate del nostro paese.

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Cosa ne pensi del boom dello street food in italia?  È un aspetto molto interessante, al quale abbiamo dedicato un Tg2 Dossier di grande successo: è andato in onda due volte quest’estate, con ottimi ascolti, ed è stato replicato anche dentro Eat Parade, con altrettanti spettatori. Ci sono almeno altre due trasmissioni televisive e una decina di libri usciti di recente sull’argomento, il che significa che attira, e non solo a causa della crisi.

E la migliore cucina? Direi proprio quella italiana, per la sua varietà, per la sua salubrità e per la storia e la cultura che hanno portato a certi risultati. Ma ovviamente non conosco bene la cucina cinese o quella giapponese, per cui potrei anche avere un po’  esagerato…



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