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Bruno Vespa: “È servizio pubblico”. Sul caso “Porta a Porta” e su altri “luoghi” mediatici dove l’anti-giornalismo italiano imperat.

Creato il 10 settembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Bruno Vespa

Bruno Vespa

di Rina Brundu. «Il servizio pubblico deve trattare tutto, dipende da come lo si tratta e io credo che ieri `Porta a Porta´ abbia trattato il fatto come va trattato sul servizio pubblico» così avrebbe ribattuto Bruno Vespa alle critiche sull’ospitata a Porta a Porta di Vera e Victor Casamonica. Di fatto il conduttore ha detto bene, ha solo dimenticato l’aggettivo in chiusura, laddove la frase avrebbe dovuto leggere “…. credo che ieri “Porta a Porta” abbia trattato il fatto come va trattato sul servizio pubblico italiano”.

Nello specifico il problema che pone l’ultima performance mediatica vespiana non è l’intervista TV a due possibili appartenenti ad una famiglia mafiosa, ma il fatto che i due signori in questione siano stati intervistati in una trasmissione come quella di Bruno Vespa, ovvero in un programma di intrattenimento che, con tutto il rispetto, non ha nulla a che vedere con il giornalismo d’inchiesta e investigativo. In una trasmissione che è piuttosto una sorta di cattedrale mediatica dove si celebra lo status-quo. “Porta a porta” è  il luogo dell’anti-giornalismo per eccellenza, il luogo virtuale dove ogni giorno l’establishment si liscia le penne e vip e vipettini si illudono di essere, di esistere, di fare una differenza nel mondo che cambia senza di loro, nonostante loro.

Ne deriva che l’avere invitato i due appartenenti della famiglia Casamonica è stato un passo falso sostanziale soprattutto perché l’intervista vespiana, mercé il peculiarissimo stile del conduttore, non poteva che trasformarsi in momento celebrativo, in a-day-to-be-remembered nell’album di famiglia del clan in questione. L’errore stesso è stato, a mio avviso, frutto di una sorte di sindrome di onnipotenza sviluppata negli anni dentro le dinamiche discutibilissime di questo programma di prima serata, in virtù delle quali l’attualità più feroce si confonde con l’avanspettacolo, la promozione degli spettacolini di “artisti” amici diventa la brodaglia “culturale” da servire a regolare scadenza, piaccia o non piaccia.

Detto questo, fa solo sorridere questo stracciarsi le vesti di tanti rappresentanti dei partiti di governo, dell’inappuntabile giunta capitolina, per un “errore” mediatico che era solo scritto nel destino. Ci si chiede infatti perché non si indignino in simil guisa per le homepages di interi giornali (il caso più eclatante, più grave, più triste data la gloriosa storia del quotidiano in questione è senz’altro quello del Corsera di Luciano Fontana, ormai ridotto a organo informativo e sgrammaticato del Partito) che, giorno dopo giorno, istante dopo istante, servono sul piatto digital-mediatico immagini size-lenzuolo del leader e brani scelti dai suoi diari apologetici.

Fortuna che il giornalismo è morto da tempo in Italia, se solo si imparasse anche a non nominarlo si eviterebbe così tanto rinnovato dolore!


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