Anna Lombroso per il Simplicissimus
I vostri blogger felici e sconosciuti spesso gradirebbero che i fatti smentissero le loro previsioni e che gli eventi sconfessassero el loro interpretazioni. Invece è vero che per dirla con Flaiano, “la stupidità ha fatto progressi enormi, è un sole che non si può guardare fissamente … che si vende benissimo, ha ridicolizzato il buonsenso…” Ed è per questo, perché è un prodotto commerciale di successo come l’ignoranza e il disprezzo del bello e del buono, che si mette al servizio di profitto, speculazione e interesse privato.
Si ha un bel dire che la rovina del nostro patrimonio nasce dall’incuria, dall’indifferenza per cultura e sapere, dalla noncuranza per il loro valore mascherata dal coglionario verbale che tutto il ceto dirigente indistintamente e in forma bi partisan sciorina davanti a Pompei che crolla, alle biblioteche derubate, alle opere sepolte in cantina: i beni culturali sono il nostro petrolio, sono i nostri giacimenti di oro nero, e così via. Ma sempre a proposito di un altro slogan del coglionario: .“Bisogna mettere a reddito i nostri beni culturali, cavarne profitti, insomma farli fruttare”, .non occorre fare della dietrologia per indovinare che se dal fango nascono i fiori, dalle rovine possono nascere quattrini, che rottamare produce utili, che il dissesto avvia la circolazione di nuove rapacità e promuove l’attenzione di sponsor interessati al “mecenatismo” in regime di saldi vantaggiosi e liquidazioni fruttuose.
Il disfacimento si fa business e favorire l’incuria diventa presupposto del brand dell’intervento salvifico dei privati, anche grazie a una spendig review che mette i tagli al servizio del depauperamento della rete della vigilanza e della tutela in nome del risparmio e della semplificazione, grazie a “riforme” che incoraggiano la privatizzazione del territorio e dei beni comuni, in virtù di investimenti che danno priorità alle grandi opere rispetto alla manutenzione, sostenuti da una ideologia aziendalista che stravolge il primato e il valore da attribuire a cultura, patrimonio artistico, sapere, creatività, al cui soccorso si chiamano manager, imprenditori, esperti di marketing, dotati di specifiche competenze gestionali e amministrative, che li trasformino in “macchine per far soldi”.
E ben venga dunque in festosa concomitanza col provvidenziale scandalo dei vigili romani, propagandato come una manna dai neo Brunetta, la chiusura di Pompei a Capodanno. Eppure il British Museum chiude il 24, 25, 26 dicembre e il Venerdì Santo. Il Metropolitan di New York è chiuso a Natale e a Capodanno, oltre che nel giorno del Ringraziamento e il primo lunedì di maggio. E i grandi musei del mondo chiudono anche un giorno ogni settimana (il Louvre di martedì), mentre Pompei è aperta sempre, 362 giorni all’anno.
Sia benedetta quella chiusura che suscita la riprovazione di media e opinione pubblica e che porta acqua al mulino instancabile di chi, a cominciare dal juke boxe di banalità e menzogne governative, invoca non il coinvolgimento dei privati ma l’affidamento totale del nostro patrimonio a patroni, come si è fatto in altre parti del mondo, più civili e “moderne”. E che tace di esperienze significative, poco denunciate in Italia, salvo da rare eccezioni come Montanari che ha raccontato il succulento incidente occorso al molto invidiato Louvre e al suo direttore manager che promossero più di una personale di un ignoto artista sudcoreano, sconosciuto a tutti e rivelatosi anche mecenate grazie all’inquietante acquisto di un intero borgo ad alto valore storico e monumentale, che si scoprì poi essere invece un disinvolto e discusso tycoon con pesanti trascorsi giudiziari, desideroso di aggiudicarsi una consacrazione artistica.
Ma la nostra classe dirigente non va troppo per il sottile: sogna un Colosseo cui restituire grazie a Della Valle la sua arena e al popolo i suoi circenses, con spettacoli di gladiatori e leoni e giochi di luce e d’acqua in totale noncuranza della circolazione idrica che nel 2011 ha provocato un allagamento dell’anfiteatro con una spesa di 10 milioni di euro di ripristino. Vagheggia di Expo dell’archeologia nel solco di Grandi Eventi per Grandi Opere infrastrutturali a beneficio di cordate del cemento e della speculazione, come quando venne proposto un campo da golf a ridosso delle Terme di Caracalla e delle Mura Aureliane, come si sta per fare fuori dal centro storico di Vicenza, sotto Monte Berico, che di quel paesaggio è un emblema, dove dovrebbe essere aperto un tunnel lungo poco meno di un chilometro e mezzo, alto sedici metri, largo quattordici e diviso in due sezioni: quella superiore servirà per le auto, quella inferiore ospiterà un canale scolmatore che, in caso di piena, agevolerà il deflusso delle acque dal fiume Retrone. Si legge sull’edizione locale di Repubblica che tutt’intorno le strade verranno ridisegnate e verrà costruito un ponte, con buona pace della Rotonda e della Villa Valmarana “Ai nani”.
Va in quel senso quell’Art bonus fiore all’occhiello del ministro Franceschini che prevede un credito d’imposta del 65 % in tre anni a beneficio di chi effettua donazioni per «interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, Musei, siti archeologici, archivi e biblioteche pubblici, Teatri pubblici e Fondazioni lirico sinfoniche»: minor gettito per il fisco, dunque, minori investimenti per la manutenzione affidata alla carità pelosa degli sponsor, poca chiarezza sulla natura degli interventi dei mecenati indigeni, che a differenza di quello che avviene negli Stati Uniti, ci hanno abituato a impiegare la generosità per rastrellare profitti, per esuberanti performance pubblicitarie, per uno sventurato e sfrontato uso improprio dei monumenti: cene sociali, sfilate di intimo, export di guglie del Duomo.
Insomma le mostre che ci aspettano in quel che fu il Bel Paese sono solo le sfilate dei nuovi Mostri.