Forse nessuna città al mondo conserva, come Buenos Aires, tutte le stratificazioni della sua storia di immigrazione. Forse solo New York le può essere paragonata. La zona dove approdò il capitano spagnolo Pedro de Mendoza nel 1536, cercando di imporsi agli indigeni e che fu poi definitivamente occupata nel 1580 da Juan de Garay, fu la culla della città chiamata Nuestra Señora Santa Maria del Buen Aire.
Le “buone arie” erano quelle che provenivano dal Rio della Plata e spiravano dall’oceano Atlantico, dove il Rio della Plata sfocia con un enorme estuario.
Spagnola dunque la fisionomia iniziale di Baires, come in tutta l’Argentina del XVI secolo, per la presenza dei conquistadores prima, e dei Gesuiti poi. E l’influenza spagnola si percepisce ancora, nella lingua innanzitutto e poi in alcuni edifici di stile coloniale che sono sopravvissuti per quattro secoli.
Se non c’è più il Forte Viejo, sostituito dalla famosa Casa Rosada nel 1800, esiste invece ancora il Cabildo nel cuore della città, la plaza de Mayo, con la tipica struttura di palazzo coloniale a portici, intonacato di bianco, con un luminoso patio interno e la torretta centrale. Da qui gli Spagnoli governavano il vice reame del Rio della Plata, ricco soprattutto di terre e di animali. Già nel 1700, infatti, alle spalle di Baires, si stendevano sterminati allevamenti di milioni di capi di bestiame allevati in libertà nelle pampas, nutriti con l’abbondanza di erba e quindi apprezzati per la carne tenerissima e saporita. Un piatto di carne é ancora un must per un viaggio in Argentina. Non si può ripartire senza aver assaggiato un piatto di asado assortito o una parrillada mixta, accompagnato da un buon vino rosso.
Lo stile spagnoleggiante coloniale é ancora presente anche in tutto il quartiere di San Telmo a sud del centro: nobili palazzi a due piani, dai ricchi cornicioni decorati, oggi trasformati in eleganti caffè oppure in negozi di antiquariato, si affacciano sulla famosa plaza Dorrego, un tempo stazione di posta per carrozze e carri che passavano dalla capitale. Qui si può assistere il pomeriggio, tra i tavolini all’aperto, ad esibizioni di orchestrine e coppie di tangueros, oppure al famoso mercato dell’antiquariato della domenica. Si trova di tutto: dai libri su Evita Peron alle foto del Che, dalle tazzine Wedgwood a candelieri in Sheffield, quasi sempre recuperati dalle ricche case borghesi del quartiere. La farmacia de la Estrella, ad esempio, fondata nel 1838 da un immigrato svizzero e attualmente sede del Museo della Ciudad è il prototipo dei palazzi dei ricchi portenos che vivevano in centro, prima del trasferimento in massa a Recoleta, in seguito all’epidemia di febbre gialla del 1871. A pochi passi si vede la Casa Minima, un esempio dell’unico autentico stile architettonico indigeno di Buenos Aires, la casa chorizo o casa salsiccia, alta e sottile, con una facciata stretta e un corridoio che si stende quasi per mezzo isolato. Come le case, anche le chiese rispecchiano lo stile e la cultura spagnoleggiante. Sono soprattutto le chiese settecentesche dedicate a Santo Domingo e a Sant’Ignacio, legate al quartiere dell’educazione o della cultura gesuitica, chiamato Manzana de las Luces, o quartiere della luce.
Al di là dello stile coloniale spagnolo, Buenos Aires presenta poi un aspetto monumentale di grande, sontuosa imponenza. È lo stile eclettico d’ispirazione francese: il Correo Central, i ricchi palazzi della raffinata Plaza San Martin o della Avenida de Mayo costruita all’inizio del ‘900 per unire i due centri del potere, la Casa Rosada e il Palazzo del Congresso, creano un’atmosfera pienamente parigina. Balconi di ferro battuto e vetrate liberty, facciate panciute e archi ricurvi, cupole e tetti a mansarda ad ampie falde, abbaini affacciati su questa, come su altri bellissimi viali alberati a imitazione dei boulevard francesi, fanno di Baires davvero la Parigi del Sud America. In questo caso non si trattò di immigrazione, ma di imitazione e di ammirazione.
Lo stile francese si impose a partire dall’Esposizione Universale di Chicago del 1893, che celebrava i 400 anni della scoperta dell’America. Ne è un esempio il teatro Colon, il principale teatro lirico della città e un centro di importanza mondiale per la musica e il balletto. Costruito alla fine dell’800 e inaugurato nel 1908 con l’Aida, presenta un’architettura eclettica ed opulenta, statue, affreschi, scaloni in marmo, colonne e capitelli. La francofilia dilagante dell’inizio del ‘900 domina l’elegante quartiere Recoleta adottato dai portensi dell’alta borghesia: palazzi residenziali e confiterie eleganti si armonizzano con il famoso Cementerio de la Recoleta, dove addirittura si svolgono visite guidate tra le tombe illustri a forma di tempio o mausoleo, 70 delle quali dichiarate monumenti storici nazionali, di capi di Stato, generali e della cittadina più celebre, Evita Peron.
Davanti alla sua tomba, realizzata in semplice pietra nera, pellegrini e turisti si fermano a leggere la lapide su cui è riportato un estratto del suo discorso “Sarò milioni”. Non solo i palazzi, il teatro Colon, le Galerias Pacifico, costruite nel 1889 come emporio commerciale d’élite in calle Florida, la via pedonale più animata della città, ma anche i più bei caffè storici di Baires sono uno scorcio d’Europa Belle Epoque trasferito in Sud America. Immigrati della prima ora, infatti, arricchiti spesso in modo straordinario grazie all’esportazione di carne e cereali, importavano il gusto e lo stile elegante della madrepatria in una città che, già alla fine dell’800, stava diventando una delle capitali economiche del Sud America.
È davvero intrigante visitare a Buenos Aires i caffè storici fine ‘800, quasi tutti tutelati come monumenti culturali. Il più famoso è il caffè Tortoni del 1858, ma anche la Confiteria Ideal, il caffè los Angelitos, il caffè la Violeta, raccontano storie memorabili anche attraverso fotografie d’epoca. Tra vetrate floreali, lampadari di ottone, sedioline in paglia di Vienna, enormi specchiere dorate un po’ fanées, sembra di vedere ancora sedere Borges o Garcia Lorca, Pirandello o Carlos Gardel, il più famoso cantante di tango argentino.
E francese o art déco è spesso anche lo stile delle librerie primo ‘900 che affollano il centro città come la Atheneum in calle Florida, da visitare con rispetto ed emozione. Anche qui sono passati Borges e Puig , anche qui si mostra il carattere squisitamente letterario di Buenos Aires, capitale dello Stato sudamericano più colto di tutti. Forse perché è così stratificato di popoli europei, forse perché ebbe vicende buie e tragiche, che produssero un’intensa elaborazione intellettuale.
Nelle librerie di Buenos Aires si entra come in un tempio, ma si sosta come in un caffè, magari sfogliando a lungo le prime edizioni di un volume, mentre si sorseggia un mate o una cioccolata. Oltre a spagnoli e francesi, la città ha ancora, e come non potrebbe?, la sua inconfondibile impronta italiana. Gli Italiani arrivarono a più riprese, alla fine dell’800, dopo la prima guerra mondiale e dopo la seconda. Soprattutto dopo il 1880 esplose l’immigrazione, in coincidenza con gli investimenti stranieri e lo sviluppo del commercio: basti pensare che la popolazione argentina tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 crebbe quattro volte.
Alla prima ondata di migranti, molti genovesi, si deve l’origine del famoso quartiere Boca, che forse deriva il nome proprio da Boccadasse. I genovesi arrivavano nei bastimenti che approdavano a La Vuelta , il porto più antico di Baires. Intorno si sviluppò un quartiere pittoresco dove le casupole dei marinai erano fatte con le lamiere recuperate e dipinte con le vernici avanzate dalle barche, rosse, gialle, blu, verdi, rosa. Così nacque la fisionomia inconfondibile di Boca, oggi il quartiere più fotografato di Baires, che si sviluppa intorno al famoso Caminito, unico museo all’aperto in Argentina. “Caminito” cioé sentierino, che prende il nome da un celebre tango malinconico e struggente.
Colori sgargianti, personaggi di cartapesta affacciati ai balconi, murales vivacissimi, esibizioni di tangueros per strada, musica ovunque, profumo di asado, fantasia in vetrina, audacia creativa sulle pareti di case, negozi e ristoranti e sullo sfondo il fiume Riachuelo: è questo il fascino indimenticabile di Boca, paradiso per i fotografi e gli appassionati del folclore. Un fascino evidente anche negli acquerelli del famoso pittore Benito Martin, a cui è dedicato un museo in questo quartiere. Guai però a uscir fuori dal circuito classico e turistico. Il quartiere, nato da marinai, prostitute e gente di coltello, conserva ancora tutta la sua atmosfera di zona malfamata, dove è meglio non avventurarsi da soli e tanto meno dopo il tramonto. Dopo il tramonto, invece, si può solo andare alla Bombonera, il famoso stadio di calcio, regno del Boca junior e di tifoserie sfegatate.
Gli Italiani naturalmente improntano tanti altri aspetti della vita portena: dalle pizzerie alle gelaterie, ai teatri. Davvero originale, però, e non rintracciabile in nessun’altra capitale del mondo é il neo gotico palacio Barolo dedicato alla Divina Commedia. A commissionare la costruzione fu Luigi Barolo, grande ammiratore di Dante, che giunse dall’Italia nel 1890, fece fortuna coltivando e filando cotone nelle province argentine del nord e, diventato ricchissimo, affidò all’architetto Mario Pallanti questa costruzione. L’imponente edificio del 1920 é alto 100 metri come i 100 canti della Divina Commedia, Le nove citazioni letterarie incise nell’atrio ricordano i nove cerchi infernali danteschi: i primi 14 piani del palazzo rappresentano il Purgatorio, mentre il Paradiso alla sommità é coronato da un faro spettacolare e da una cupola.
E poi c’è, naturalmente, il tango. Quello che è uno dei miti argentini, nato nei bar e nei bordelli che sorsero intorno a Buenos Aires alla fine del IXX secolo, vanta le origini più disparate. Forse anche questa è una dimostrazione della vivacità e della varietà della capitale argentina. Crogiolo di immigrati, eclettica, cosmopolita, vivacissima, tollerante, Baires é tanto mescolata di popoli e tradizioni, che qui nessuno si stupisce che una delle teorie più leggendarie sull’origine del tango lo faccia risalire addirittura a un’invenzione giapponese.