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Bug - la paranoia e' contagiosa (di W. Friedkin, 2006)
Creato il 02 aprile 2012 da Frank_romantico @Combinazione_CNei primi posti delle cose che odio di più a questo mondo (e ce ne sono tante) sicuramente ci sono gli insetti. E non sto parlando di quelli più schifosi, ma dell'insetto in tutta la sua totalità, aracnidi inclusi. Non c'è nulla che mi facca saltar via più di un'ape, di un ragno o di uno scarafaggio. Chiamiamola fobia o semplice disgusto, ma è qualcosa che parte da dentro e raggiunge echi impressionanti. Perchè scappare da qualcosa di infinitamente piccolo rispetto a te non ha una spiegazione logica. O almeno non sempre.
Niente di strano quindi se guardando per la prima volta, per puro caso - senza avere informazioni su trama, regia e quant'altro - un film come Bug - la paranoia è contagiosa, mi sia sentito coinvolto (e sconvolto) emotivamente. Questo film di William Friedkin (quello de L'esorcista, L'albero del male ma anche Il braccio violento della legge e Vivere e morire a Los Angeles) è un viaggio nella paranoia di cui gli insetti sono allo stesso tempo l'oggetto e la causa scatenante.
Agnes vive in un motel ed è una donna sola. Beve, si droga e cerca di dimenticare gli abusi dell'ex marito. Un giorno conosce Peter, un reduce del Golfo senza arte ne parte. Lo ospira nella sua stanza e tra i due nasce una dolce storia d'amore. Se non fosse che Peter è ossessionato dagli insetti ed è convinto sia in atto una cospirazione governativa. Il ritorno dell'ex di Agnes non fa altro che peggiorare le cose.
Bug è un film che violenta la mente. Basato sull'omonima piéce teatrale scritta da Tracy Letts (qui anche sceneggiatore), è una pellicola che si sviluppa in ambiente statico ma che si muove, si evolve e si trasforma come fosse un essere vivente. E ti assale quando meno te lo aspetti.Questo perchè Bug è diviso in due parti. L'iniziale è una lunga introduzione che permette al regista di presentare i suoi protagonisti, costruendo il loro background attraverso il non detto, il silenzio interrotto da dialoghi violenti e gli sguardi carichi di sospetto e speranza. Agnes e Peter sono due esseri imprigionati in una realtà che non li vuole, stranieri nel loro stesso mondo, traditi da tutto e tutti. Sono stati entrambi feriti, ogniuno a suo modo, e si sono ritirati nella propria fortezza della solitudine. Per questo quando si incontrano si riconoscono. L'amore tra loro è solo un accessorio, un modo per infrangere la barriera che li separa (la stessa che hanno creato per proteggersi "dall'esterno") e ritrovarsi in una disperazione comune, quasi fosse un peso da poter dividere. La prima parte è quindi un film sul dolore, un dramma sull'esistenza. Due vite fatte a pezzi provano a congiungersi e a rinascere in qualcosa di nuovo, quasi che la somma dei resti di due edifici distinti possano dare come risultato un edificio nuovo. E invece no, sono e resteranno sempre macerie, qualcosa di rotto che non si può aggiustare.
Poi, ad un certo punto, il film cambia. Quella che sembrava una strada senza via d'uscita si trasforma d'un tratto nel precipitare in un pozzo senza fondo: quello della follia umana. Peter è un paranoioco con un'assurda fobia per gli insetti. Ma non si tratta solo di paura o disgusto. Si tratta dei meccanismi contorti che imprigionano il cervello umano e lo conducono verso il baratro. L'insetto è simbolo di qualcosa di così piccolo da potersi insinuare nel corpo umano e corromperlo proprio come la pazzia è un tarlo che disfa la mente. Come fossero larve, le ansie e le idee paranoiche di Peter trovano spazio in Agnes, nidificano e alla fine germinano. Anche nel caso della donna, ad aver distrutto tanto la sua psiche quanto il suo corpo (Agnes è bellissima ma è solo lo squallido ricordo della donna che era) è stata la violenza: se per Peter è quella vissuta durante la guerra, per lei è quella subita dal marito. Ed è proprio quando Friedkin ci presenta quest'ultimo che capiamo tutto: attraverso un personaggio secondario siamo in grado di comprendere la protagonista, senza l'utilizzo di flashback e cambi di location.Gli eventi traumatici della loro esistenza, per quanto diversi, spingono i due a condividere la stessa sorte. Quasi la donna non voglia più sopportare l'idea della sua squallida esistenza precedente, preferisce scegliere la follia dell'unica persona in grado di toccarla nel profondo. Preferisce alla realtà insostenibile e crudele una finzione che per quanto terribile la rende unica. Anche questa però è una violenza, quasi subliminale, la stessa a cui viene sottoposto lo spettatore che attraverso un incredibile uso delle immagini finisce per non distinguere più ciò che è reale da ciò che non lo è. In questo il film è estremamente cronenberghiano, così come l'orrore che mostra verso il finale in un crescendo di cattiveria verso l'(auto)distruzione della carne, raccontato tramite immagini insostenibili. I corpi scarnificati e mutilati vengono purificati e diventano, in un certo senso, liberi.
Anche l'estetica di Bug è duplice: inizialmente caratterizzato da una fotografia cupa e sporca, diventa improvvisamente freddo, claustrofobico e alienante, una tomba di carta stagnola illuminata da luci al neon. Tutto questo non aiuta l'immedesimazione dello spettatore che si ritrova a confrontarsi con personaggi (interpretati da una Ashley Judd che non è mai stata così brava e da un Michael Shannon perfetto) talmente iperbolici ed estremi da divenire irragiungibili. Questo però non inficia la visione ma ne aumenta l'orrore. Il regista prende una storia anti-cinematografica e la sviscera nei dettagli, prende situazioni assurde e le porta all'estremo riuscendo comunque a far quadrare il cerchio. Alla fine il film di Friedkin non è altro che una storia d'amore tra due anime dannate, prigioniere del loro vissuto, mostri sopravvissuti all'infrangersi di un sogno, talmente deboli da non poter reggere il peso della loro stessa solitudine ma anche per questo bellissimi e tragici come i personaggi di un antico dramma.
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