Magazine Poesie

Bulàt Okudgiava (1924-1997)

Da Paolo Statuti
Bulàt Okudgiava (1924-1997)

Bulàt Okudgiava

   Nel suo articolo „Cantautori in franchigia”, pubblicato da “La Fiera Letteraria” il 2 aprile 1972, Jerzy Pomianowski scrive: “Bulàt Okudgiava – valoroso soldato nel corso della II guerra mondiale, apprezzato prosatore – è senz’altro poeta d’importanza nazionale. Egli scrive le sue canzoni non perché gli sia mancato il successo editoriale, non perché sia un poeta di minore ingegno, ma perché ha consapevolmente scelto questa forma di contatto intimo con il suo pubblico esigente… Okudgiava non ha inciso ancora nessun disco nell’Unione sovietica, ma là circolano migliaia di suoi nastri. Egli è diventato talmente popolare nel suo paese, che qualche volta gli è stato concesso di viaggiare all’estero con la sua chitarra. Prima in Polonia, poi in Francia, Germania e così via. Non c’è nulla da fare: è chiaro – anche per certi burocrati, che questo dissidente, questo contestatore, fa per il buon nome del suo popolo più di tutti gli inviati speciali della letteratura ufficiale… Okudgiava, come altri noti cantautori dell’Europa Orientale (Osiecka, Matvieieva, Galic, Vysotskij, ecc.), esprimono la voce della maggioranza progressista del loro popolo, maggioranza non silenziosa ma canora, maggioranza leggente e pensante. Essi hanno preso la chitarra e cantano proprio perché non temono nessun confronto diretto con il loro pubblico. Questo succede quando si ha in comune con esso non solo la lingua, ma anche le idee…la loro è vera poesia impegnata, è vera poesia cantata…”

Presento qui 12 testi di Bulàt Okudgiava da me tradotti in modo consono alla musica e quindi tali da poter essere cantati anche in italiano.

 

 

 

L’ultimo filobus

Allor che il dolore mi affligge di più,

allor che il coraggio scompare,

dall’ultimo bus, dal mio filobus blu,

mi lascio

portare.

O ultimo bus, su raccogli anche me!

Tu quando la nave sprofonda,

i naufraghi prendi e porti con te,

in salvo

sull’onda.

O ultimo bus fammi dunque salir!

Di notte col freddo io amo

i tuoi passeggeri che pronti a morir

si danno

una mano.

Più volte con loro l’angoscia passò,

uniti in un dolce tepore…

Oh, quanta bontà nel silenzio si può

sentire

nel cuore.

Il filobus naviga per la città,

e Mosca è un fiume in piena,

sparisce il dolor che impazzire mi fa,

si placa

la pena.

 

 

 

 

La canzone di mastro Grisha

A casa nostra,

a casa nostra,

a casa nostra –

quantità, quantità…

Noi rancore a nessuno mostriamo,

e seppure il successo è lontano, che fa?

Resistiamo…

Resistiamo,

resistiamo,

resistiamo -

perché no, perché no?

Giungerà mastro Grisha frattanto,

con le mani fidate aggiusta, lo so,

tutto quanto…

Tutto quanto,

tutto quanto,

tutto quanto –

verrà qui, verrà qui…

In chi altro sperare tu puoi?

Ogni giorno che passa parliamo così

tra di noi…

Tra di noi,

tra di noi,

tra di noi –

su e giù, su e giù

soffia il vento, il tetto già scricchiola…

Presto, i pugni fa vedere tu,

mastro Grisha,

mastro Grisha,

mastro Grisha,

mastro Grisha…

 

I pittori

Immergetevi o pittori coi pennelli

Nell’aurora, nel trambusto dell’Arbat,

Perché siano i pennelli

Così belli,

Come foglie,

     quando ottobre

   arriverà.

Immergete quei pennelli nell’azzurro,

Dipingete con passione e con ardor,

Come quando via Tverskaja percorriamo,

Lo facciamo

   ogni volta

     con amor.

Che sussultino gli asfalti risvegliati!

E cominci quel che ancor non cominciò!..

Dipingete

   e sarete

   ben pagati…

Senza chiederci:

   è riuscito oppure no?

Come giudici illustrateci la sorte,

La stagione che a ciascuno toccherà,

Cosa fa se siamo estranei…

   Dipingete!

Poi qualcuno

   ciò che è oscuro spiegherà.

 

 

 

 

Francois Villon

Finché la terra girerà e chiara la luce sarà,

Dà o Signore ad ognuno ciò ch’egli non ha:

Al saggio dà una testa, al vile un cavallo per sé,

Dà al fortunato il denaro…

   E non scordarti di me.

Finché la terra girerà, – Dio, appartiene a te! –

Dona a chi brama il comando il sospirato poter,

Al prodigo dà respiro finché la notte non vien,

Ed a Caino il rimorso…

   Senza scordarti di me.

Lo so: tu puoi ogni cosa, saggio – lo credo – sei tu,

Credeva anche il soldato che or non vive più,

Come ciascun orecchio crede al tuo labbro, Signor,

Come noi stessi crediamo senza comprendere ancor!

O Dio, Signore ascolta, tu che occhi verdi hai!

Finché la terra girerà (e questo è strano anche a lei),

Fin quando fuoco e tempo essa avrà ancora con sé,

Dona a ciascuno qualcosa…

   E non scordarti di me.

 

Il soldatino di cartapesta

Viveva un tempo un soldatino –

Proprio una bellezza.

Ma era un gioco da bambino,

Era di cartapesta.

- Il mondo, – disse, – cambierà,

Per tutti sarà festa. –

E appeso a un filo intanto sta

Perché è di cartapesta.

 

- Per voi nel fuoco morirò

Con l’anima contenta. –

Ma voi rideste: – oh, oh, oh! –

E’ solo cartapesta.

A lui nessuno parlò mai

Di ciò che aveva in testa,

- Ah, sì? Perché? – Perché lo sai:

Era di cartapesta.

Ma lui il destino maledì,

La calma e la bellezza,

E chiese: – fuoco! Fuoco! – un dì,

Ed era cartapesta!

- Nel fuoco? Ebbene, va’, se vuoi. –

Andò, la lancia in resta,

E si bruciò – per cosa poi? –

Era di cartapesta.

 

Il re

Nel cortile dove un tempo s’ascoltavano canzoni,

E due salti ci piaceva far,

Di Ljon’ka i ragazzi ammiravano le azioni

E decisero: – Il nostro re sarà -.

Era un re, come un re, era forte e se qualcosa

Qualche volta un amico scoraggiò,

Lui gli tese allor la sua mano generosa,

La sua mano regale e lo salvò.

Ma un giorno…Cos’è? Un gran fuoco si sprigiona,

Un boato all’alba si avvertì,

Il nostro Re, come un re, col berretto per corona

Prese su e alla guerra finì.

 

Poi ancora le canzoni, poi il sol brillò di nuovo,

Ma nessuno che pianga per il Re,

(Scusate) quel Re era proprio solo-solo,

Mai trovò una regina per sé.

Non importa quel ch’io faccia, non importa dove vada

(Per lavoro o per passeggiar),

A me sembra che quel Re passerà per la mia strada,

Che di nuovo tra noi egli sarà.

Perché in guerra – tutti sanno – non si scherza, lì si spara,

Ma per Ljon’ka la terra non è.

(Chiedo scusa) ma per me Mosca bella, Mosca cara

Non è tale senza un tale come re.

 

Il gatto nero

Nel cortile c’è una porta

“Di servizio” ed un bel dì

In quell’antro la sua corte

Un Gatto Nero stabilì.

Egli ride sotto i baffi,

Ama il buio e cosa fa?…

Fanno chiasso tutti i gatti,

Lui in silenzio se ne sta.

Già da tempo i topi scansa

E sogghigna più che mai,

Ora a noi lui dà la caccia,

E il salame mangerà.

Mai non chiede, non pretende,

Fissa l’occhio qui e lì.

Ma ugualmente ognun lo serve

E gli dice anche merci.

 

Neanche un suono non gli scappa –

Mangia, beve e niente più,

Le sue unghie, quando raspa,

Sulla gola senti tu.

E per questo manca il sole

Nella casa in cui abitiam.

Una lampada ci vuole…

Ma il denar chi ce lo dà?

 

La canzone della mia vita

Come un fuoco bruciò il mio primo amore,

E con esso pagai il secondo amore.

Poi al terzo amore –

Mi tremò la mano

Inchiavando il mio cuore

E scappai lontano.

Della prima guerra non è reo nessuno.

La seconda guerra è colpa di qualcuno.

Ma la terza guerra –

L’ho voluta io,

L’ho voluta io,

Fu uno sbaglio mio.

Come nebbia arrivò la mia prima illusione,

Un veleno sembrò la seconda illusione.

Ma alla terza illusione

Vacillò la terra,

Fu una punizione

Peggio della guerra.

 

 

 

Mosca di notte

   A Bella Achmadulina

Quando con voce ancora incerta la tromba a un tratto squillerà,

E come falchi nella notte parole ardenti voleran,

Come la pioggia all’improvviso udremo risonare ancor

La melodia della speranza diretta solo dall’amor.

Negli anni dei saluti amari, allor che il piombo su di noi

Colpiva inesorabilmente le nostre spalle, i nostri eroi,

E i comandanti erano rochi…Portava avanti i nostri cuor

La melodia della speranza diretta solo dall’amor.

Il clarinetto era bucato, la tromba – storta qua e là,

Ma il trombettiere, così bello, sembrava una divinità!

Ed il flautista era elegante…Per sempre ci consolerà

La melodia della speranza diretta solo dall’amor.

 

Canzone dell’Arbat

Come un fiume tu sei. Hai uno strano nome!

Il tuo asfalto, o Arbat, trasparente appar.

Oh, Arbat, mia Arbat,

   tu – mia vocazione,

Tu – mia gioia, mio amor, mia infelicità.

La tua gente non fa sogni di grandezza,

Al lavoro su e giù corre su di te.

Oh, Arbat, mia Arbat,

   tu – la mia salvezza,

Come un tempio tu stai sempre avanti a me.

Il mio amore per te è un eterno male,

Pur amando il mio cuor mille strade ancor.

Oh, Arbat, mia Arbat,

   terra mia natale,

Di percorrerti mai…mai mi stancherò!

 

 

La canzone degli stivali

Sentite gli stivali rimbombar,

E il grido degli uccelli su nel ciel,

Le donne non si stancan di guardar…

Sapete dove guardano e perché?

Rimbombano i tamburi: ba-ra-ban!

Soldato, lei aspetta il tuo commiato…

La nebbia il tuo plotone inghiottirà,

E sembrerà più chiaro ciò ch’è stato.

Dov’è che si nasconde il nostro ardire

Quando alle case ritorniamo infine?

Le donne ce lo rubano e sul petto

Lo cullano con infinito affetto.

Le nostre donne dove sono mai?

A casa certo le ritroverai.

Sorrisi e tante feste ti faranno,

Ma in casa ci sarà puzza d’inganno.

Ma noi al passato grideremo: è falso!

E al domani grideremo: luce!

Ma il corvo là nei campi non è sazio,

E ad una nuova guerra ci conduce.

 

Stivali ancora sentirai passar,

E sarà folle il volo degli uccelli,

Le donne come allora guarderan

Le teste dei mariti e dei fratelli.

 

 

La canzone del vecchio suonatore di pianino

 

Pianino-cantastorie,

E’ dolce il tuo refrain!

Pianino-cantastorie,

Dove chiami anche me?

 

 

Io mi trascino a stento,

La strada è lunga ancor;

Le gambe più non sento,

Ed ho una spina nel cuor.

 

Lavoro è lavoro

Lavor sempre sarà…

Purché basti il sudore

Per tutta la mia età!

 

Pagar perché sbagliasti –

Lavoro anch’esso è…

Purché il sorriso basti

Quando verranno da te.

 

Lavoro è lavoro…

 

 

 

 

(C) by Paolo Statuti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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