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Il ritorno sulle scene di Sylvester Stallone - avvenuto con “Rocky Balboa” e “John Rambo” - per quanto avesse deliziato gli affezionati non poteva garantire al suo artefice una totale rinascita cinematografica. L’invenzione del franchise de “I Mercenari” allora sorgeva per lui come un salvagente a cui aggrapparsi senza correre il rischio di dovere andare a distruggere dei veri e propri miti storici. Il primo capitolo però fu un esperimento riuscito solo a metà sul quale Stallone ebbe comunque la possibilità di ritagliare materiale sufficiente per poi cogliere il suggerimento sul quale avrebbe impostato il suo nuovo percorso artistico.
L’autoironia anagrafica che era alla base de “I Mercenari 2”, prodotto assolutamente più riuscito del primo, diventa quindi il marchio di fabbrica dello Sly 2.0, facendosi arma imprescindibile ogni qual volta il suo volto, ormai malandato dall'età (e non solo quella), ha bisogno di essere messo al servizio di un film action di genere adrenalinico e muscolare. “Bullet to the Head” non ha nulla a che vedere con “I Mercenari 2” ciò nonostante lo segue in tutto il suo spirito e soprattutto esenta Stallone da qualunque tipo di catena scenica in grado di trattenerlo dal suo dinamismo e dalla sua esuberanza.
E’ una storia classica quella proposta da Walter Hill, un buddy action-thriller dove i protagonisti non sono nemmeno poi tanto buddy poiché divisi da un etica opposta legata alla giustizia: se il detective Taylor Kwon vuole sbattere in prigione chi ha ucciso il suo partner, il sicario Jimmy Bobo (Stallone, appunto) tende ad applicare, per vendicare la morte del suo, la legge del taglione. L’attrito in questione non impedisce al rapporto tra i due di dar sfogo a battute e siparietti ironici e divertenti, ma anzi, viene sfruttato per aprirne uno quasi ad ogni scena, eleggendo Stallone mattatore assoluto e dilatando la coattaggine fino a farla diventare valore aggiunto.
Basato sulla graphic novel “Du Plomb Dans la Tête” scritta da Matz e illustrata da Colin Wilson, “Bullet to the Head” convince integralmente grazie al suo ritmo forsennato e privo di fiati corti. Walter Hill sa valorizzare benissimo gli attori a disposizione e intrattenere con ottime scene d’azione, elargendo spettacolo e risate al pubblico che deve solo pensare a divertirsi e a farlo di gusto. Lasciamo correre perciò sul combattimento vichingo con asce - poco credibile e meno spettacolare del previsto - con cui Sly chiude troppo facilmente un duello impari a suo sfavore contro l'osso duro impersonato da Jason Momoa.
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