Non sono mai stato un ultra. Per indole: non riuscirei mai a ripetere ciò che altri urlano dentro un megafono. E ho sempre pensato che dietro il cosiddetto “orgoglio ultra”, spesso, ci sia in realtà poco di cui essere orgogliosi.
Comprendo però perfettamente che il calcio è un formidabile generatore di entusiasmo, passioni, felicità. Anche quando i problemi della vita inducono allo sconforto, un gol della squadra del cuore può cambiare il colore di una giornata.
La Reggina oggi compie cento anni e con lei idealmente festeggiano tutti i suoi tifosi, nonostante, in questo delicato momento della sua storia, tristezza per il baratro che si intravede e nostalgia per i tempi che furono la fanno da padrone.
Ormai è diventato uno sport nazionale sparare sul presidente Lillo Foti. Che ha le sue responsabilità, certo. Ma la cui figura, con tanto di sigaro, si staglia altissima nei primi cento anni della storia della Reggina. Da un punto di vista sportivo, per il miracolo della serie A e per quelle nove stagioni che hanno tenuto i riflettori della stampa sportiva nazionale costantemente accesi sul “Granillo”. Sotto il profilo sociale, per avere contribuito a risollevare il morale di una città prostrata dai terribili anni della seconda guerra di ’ndrangheta, offrendole una possibilità di riscatto e un elemento di fiducia. Questo non bisognerebbe mai dimenticarlo.
Neanche oggi che si è passati dal sogno all’incubo.