Con un racconto e una poesia di Adriana Pedicini, la Redazione tutta vi augura:
BUON NATALE!!!!!!
E' di nuovo Natale
Sulla tavola la tovaglia in canapone di Maratea, su di essa le testine ricamate di babbo natale al centro scuotono i berretti tintinnanti, all’orlo campanule e rametti di pungitopo e nodi rossi di nastro. Tutto sembra vivo e non effetto di vivide stampe tra il luccichio ambrato delle stoviglie.
Nel tinello, in attesa Mara e Fabrizio, seduti a guardare il monitor del televisore. Mi giunge in cucina il suono scrosciante del riso di mio figlio che ridiventa fanciullo alle sequenze dei cartoni animati: noto con disappunto che non si stende più come una volta sulla poltroncina di vimini con i piedi poggiati sul ripiano del cassetto.
Sulla poltroncina siede la sposa dal volto di adolescente. Il pranzo è in tavola.
Alla sinistra del padre siede oggi come una volta Fabrizio: è uomo e bambino. Gli altri due sono ospiti delle fidanzate.
Per me i bambini appaiono e scompaiono; sono scomparsi... non spunta alcun angolo bianco di buste natalizie dalle pieghe dei tovaglioli. Ora solo i miei occhi malinconici di anni ammucchiati le scorgono … lontane, velate dai vapori dietro i vetri color ghiaccio. Solo i miei occhi rivedono i miei righi affrettati e i volti di mio padre, di mia madre, delle sorelle, dei fratelli, le sedie su cui ognuno di noi all’impiedi doveva recitare la poesia natalizia se voleva il regalino agognato. Sento ancora sul viso il bruciore delle guance arrossate per la vergogna puerile.
Squilla il telefono. Risponde il capofamiglia: “Antonio, Lorenzo, come state? Affettuosi auguri. Vi passo Pina”.
“Oh, Lorenzo, ci hai preceduto. Buon Natale, ti passo Mara, Fabrizio. Oggi sono con noi”.
- Ho sognato che era nato un maschietto con gli occhi neri…. Ma non sono più mia madre, mio padre. Un Natale in quattro, non più in sei, non più in cinque - vado rimuginando da sola in silenzio.
Seggo all’angolo del tavolo, verso la porta. Sorrido dolcemente a Mara, l’esorto a mangiare: ora deve mangiare per due.
Cerco di spostarmi sempre più verso l’angolo, per prendere meno posto, vorrei che il mio viso sparisse dietro il vapore profumato delle pietanze e un altro ne apparisse per lei noto e amato, svanito e rimpianto. Sono una madre, ma non la sua.
I miei sguardi carezzano il giovane viso di mio figlio, di mia nuora, un’altra figlia. La mia voce ha toni di parca allegria.
Bisogna telefonare agli zii in America. Glielo abbiamo promesso.
Se ne incarica mio marito “Oh, sì…vi sento benissimo, Merry Christmas e Buon Natale a tutti, la piccola Sonja come sta? Auguri, auguri! Qui c’è tutta la famiglia Brambilla, ti passo Pina…Fabrizio…Mara…; James, cari auguri… grazie, Billy… il mio amico cane? Sì, sta bene”.
Fabrizio: ”Sono l’ultimo, passo e chiudo”.
“Aspetta, passami Lizzie” si precipita il capofamiglia ad afferrare la cornetta del telefono.
“Lizzie, il Palazzo di vetro (di New York) è ancora a posto? Se dovesse muoversi, mandami subito a chiamare…ci penso io”.
Il nostro spumante forse non è ottimo, tuttavia si brinda. Di tempo ce n’è, non lo abbiamo sprecato a parlare tra di noi. Ognuno ha dialogato o con la nostalgia o con il dolore o con la speranza. Il capofamiglia con la noia di sicuro.
Un altro Natale!
L’anno venturo saremo in cinque.
Bisognerà lavare la tovaglia, vi sono parecchie macchie.
Sera di Natale
Stupore antico nell’aria
Il cielo
in attesa
nevica tenebre silenti
intenerisce i cuori persi
all’innocenza.
Brilla una cometa
sul sentiero smarrito
per antiche colpe.
Semi di speranza nel sorriso
del Bambino divino
sceso dalle stelle.
Tutto è possibile
se il silenzio più della parola
stillerà nei cuori
il desiderio di un mondo
che non tornerà mai più
se il vento o la pioggia
scioglieranno le angosce
e la coscienza si aprirà all’Amore
in questa notte santa.
A.P.