La ‘povna ha di nuovo la tosse. Quella che è cominciata come una banale infreddatura il 20 aprile scorso, è stata alimentata dal clima invernale (5 gradi) in Appennino, in gita con i Pesci, dall’allergia che – nonostante il tempo pazzo – si fa largo, dal suo lavoro che, comunque, la voce la fa usare. Così, domenica, dopo essersi svegliata con un dolore spaventoso al petto, prima ha fatto l’aerosol, di sua propria sponte. E poi ha chiamato la dottoressa V. “Vieni domani”, le ha detto lei, “subito, e riguardati”.
Di riguardarsi la ‘povna non poteva proprio fare a meno, del resto. Perché la tracheo-bronchite l’aveva spinta in una prostrazione cosmica. Perciò, dopo aver preparato quel che c’era da preparare per la settimana imminente, se ne era tornata sul letto a riposare.
Tra le cose che aveva fatto, c’era anche una serie di messaggi elettronici che esigevano la sua attenzione subito, tra i quali uno in particolare che era stata costretta, suo malgrado, a tippettare.
Era diretto all’organizzatore della conferenza veneziana, cui avrebbe dovuto partecipare oggi. E a lui spiegava la sua situazione di salute compromessa, dicendogli della mancanza di voce, della sua necessità di visita medica – e in definitiva del suo timore di stare, entro mercoledì, ancora troppo male.
Bisogna sapere che l’organizzatore di questa conferenza – alla quale la ‘povna aveva aderito con entusiasmo, quando era stata contattata per la prima volta – si era già rivelato, nel corso dell’anno scolastico, una persona quanto meno singolare.
Singolare aveva trovato, inizialmente, la tendenza a contattarla dal nulla sul telefono fisso: “Ho letto i tuoi libri, ho cercato sull’elenco, e ho iniziato a chiamar numeri” – le aveva detto.
“E’ un modo come un altro” – aveva ribattuto lei, dall’altro capo della cornetta. Ma poi si era affrettata a lasciargli e-mail e cellulare.
Singolare aveva trovato che non si facesse più sentire per mesi, dopo quella prima volta. Anche se lei, presa da cose assai più serie, purtroppo, non aveva avuto tempo da dedicare ai veneziani pazzi.
Singolare aveva trovato il suo ritorno (sempre su telefono fisso), come se fosse niente.
Singolare aveva trovato il nuovo silenzio; e poi ancora la tendenza a richiamarla, a casa, in ore che definire “poco consone” (le 22.40) è solo un eufemismo. E quella volta si era vista costretta (lei, che pure è assai nottambula) a far presente che non usa chiamare dopo le nove di sera in casa d’altri. Specie se non li conosci; specie se ti hanno dato un indirizzo e-mail cui far riferimento; specie se sai che il giorno dopo è di lavoro.
Nonostante tutto, tra (svariati) contrattempi, il tizio aveva portato a casa una parvenza di organizzazione dell’evento. E si erano accordati per l’8 maggio. Ed era proprio a questo appuntamento – perché, se una cosa nasce male, è difficile poi che cresca meglio – che la ‘povna si era dovuta dichiarare, quella stessa domenica di tosse, costretta, forse, a rinunciare.
Mentre dormiva, intanto, nel pomeriggio, aveva sentito suonare il telefono fisso. Abbastanza da invadere di sogni inquieti il suo sonno un po’ febbricitante. Ma aveva deciso che non era poi importante, e alla fin fine lo aveva lasciato fare.
Non era successo lo stesso la sera alle otto, quando (lo squillo era ripreso) aveva sollevato la cornetta:
“Pronto” – aveva esalato con voce cavernosa, dalla profondità della sua gola, il brontosauro.
“Ciao, sono Organizzatore Veneziano, ho letto il tuo messaggio. Come stai, puoi parlare?”.
“Sto messa così” – aveva barrito a fatica il brontosauro.
“Ho capito, ma puoi parlare?”.
Questo teatrino era andato avanti per due minuti buoni, alla fine dei quali la ‘povna gli aveva fatto presente che, nel mail, lei aveva già scritto tutto; che la situazione della sua voce era quella che sentiva, come è ovvio; e soprattutto, che era domenica, lui era un estraneo che chiamava una persona a un’ora incongrua. E che lei, oltre tutto, stava male.
“Ci sentiamo domani” – le aveva detto lui.
“No” – aveva replicato la ‘povna – “parlare non mi riesce molto. Ti scrivo io quando ricevo una diagnosi. Anche se ti preannuncio che la situazione, come senti, non è buona”.
Il pomeriggio del lunedì, la ‘povna è andata dalla dottoressa V., come promesso. La quale (oltre a dirle che la vota, e a chiederle di portarle un po’ di materiale, da lasciare in visione ai suoi pazienti), le ha confermato una diagnosi di “tracheo-bronchite con complicazioni asmatiche”. E poi le ha segnato una serie di medicine da cavallo, unite a una serie di prescrizioni serie: “divieto assoluto di strapazzarti, di stancarti, di prendere freddo, di stare nelle correnti, all’aria condizionata, di spostarsi là dove non strettamente necessario, di parlare più di quanto non lo voglia il tuo lavoro (che è già troppo). Dunque divieto di fare altro che la scuola, fino a giugno, niente attività extra, niente coro”.
“Poi” – ha aggiunto – “siccome il colorito non mi piace per niente, a giugno facciamo gli esami del sangue. E per davvero, questa volta. Altrimenti” – ha aggiunto con uno scintillio malizioso negli occhi intelligenti – “ti avverto, non ti voto”.
La ‘povna annuisce. L’ha convinta. E, lasciato l’ambulatorio, si ferma in farmacia, per fare scorte. Lì incontra zio Remo (la piccola città è, per definizione, appunto, piccola), che le chiede notizie. Ed è così che un po’ si attarda. Ed è già buio (dalla dottoressa V. la fila è sempre lunga) quando torna a casa.
Lì, aprendo la posta, la sua sorpresa è grande, ma non troppo, nel vedere il messaggio di Organizzatore Veneziano che campeggia.
“Ciao, oggi ti ho cercato al telefono, ma non ti ho trovata. Aspetto notizie. Comunque, se l’8 maggio non ce la fai, possiamo spostare al 15, così ti sei rimessa”.
La ‘povna sospira, trattiene una parolaccia che le sale sulla lingua, prepotente, si attacca alla tastiera e poi tippetta. Il mail è circostanziato e lungo. Dentro, c’è quel che le ha detto la dottoressa. E poi la spiegazione di quello che a lei (visto quanto ci è voluto per organizzare quella data, dai primi di ottobre a maggio), sembra abbastanza ovvio: “Purtroppo da qui a dopo la fine della scuola a me non sarà possibile spostarmi. Sia perché, se lo scopre la dottoressa, poi mi picchia. Ma sia soprattutto perché a me (come dovrebbe essere per te – vorrebbe aggiungere – che pure sei insegnante) non non riesce liberare altri giorni, fino alla fine della scuola”.
La ‘povna rilegge, controlla, spedisce.
Si aspetta la telefonata importuna a qualunque ora del giorno. Si aspetta un mail arrabbiato e incapace di comprendere. Si aspetta la fatica di spiegare, senza voce, a un piùcheretto.
Quello che non si aspetta, è quello che avviene nella realtà di queste ultime 48 ore, senza appello. Dopo mesi trascorsi a importunarla a ore inaccettabili, dopo tampinamenti pomposi e reiterati mensilmente, passata la possibilità del proprio utile, Organizzatore Veneziano si è fatto di nebbia. E il messaggio di risposta, semplicemente, non arriva.