Partiamo dalle considerazioni finali su Irlanda 22 -10 Usa giocata a New Plymouth in vista - se non fosse per l'acquazzone - del profilo del Mount Taranaki, la controfigura del Fuji giapponese.
La buona notizia è che l'Irlanda non ce la fa a prendere la sufficienza nel compitino, fallendo il punto di bonus e mostrando le medesime falle rivelatesi nel pre-mondiale (quattro warm up tutti persi).
La cattiva notizia è che anche gli Usa nostri terzi avversari, come tutte le Minnows viste sinora (ne facevamo cenno nelle rugb-rica) son cresciuti nel fisico, nella tecnica e nell'approccio tattico, e se pur presentano punti molto deboli, vanno affrontati con la dovuta attenzione per non rischiare di trasformare le inevitabili fatica, frustrazione e figure da chiodi (c'è solo da perderci in quelle partite), in qualcosa di ancora peggio.
L'Irlanda sotto l'acquazzone prende immediatamente il sopravvento netto sulle fasi di conquista statiche: in mischia e rimessa laterale il predominio del pack Verde guidato da O'Connell è imbarazzante. Jonathan Sexton capitalizza tale netta superiorità solo al quarto d'ora, con una punizione dopo averne fallite altre due in precedenza: ne fallirà ancora più tardi, in una ripetizione di quella "sindrome di Wilkinson" che sembra affliggere diversi calciatori (Boreali e non) nel clima umido con gli ovali in dotazione. Non è solo questo a inficiarne la prestazione, in coppia col giovane Conor Murray in mediana: i due soffrono la pressione difensiva frenetica delle Eagles, guidati da uno spiritato e onnipresente Todd Clever: "Clever Resistance", recita il sito ufficiale della Coppa del Mondo. Le Eagles con la foga e l'impeto riescono a supplire alle carenze organizzative, con la fisicità e il coraggio a quelle tecniche.
Il duo irlandese in cabina di regìa sbarella, si dà un gran daffare senza costrutto e tutto team Smeraldo recupera solo a sprazzi e con difficoltà il bandolo della matassa. Gli irlandesi fanno una fatica cane a dispiegare tutto il loro potenziale e la scusa del tempo umido, sorry non la beviamo, chi se non loro dovrebbe sentirsi a casa!
Invece soffrono nella trasmissione dell'attrezzo - ci sta, son loro che devono far gioco - ma patiscono anche il gioco tattico di alleggerimento, facendo cadere diverse volte l'ovale per terra in avanti.
Unico aspetto positivo, la disciplina: non essendo sollecitati granchè come difesa, non concedono molte punizioni. Tranne guarda caso quando verranno messi sotto pressione vera, all'inizio del secondo tempo.
Anche la famosa terza linea, senza David Wallace e Sean O'Brien è poca cosa, si vede Ferris e ogni tanto Heaslip ma vengono contrastati alla pari dagli "Eccellenti" Louis Stanfill, Mogliano e Nick Johnson, l'Aquila la scorsa stagione, più Clever quest'anno ai Suntory giapponesi dopo diversi anni in Sudafrica.
Allo spirare del primo tempo, dalle e dalle, finalmente Tommy Bowe trova uno spiraglio e s'infila fino in meta vicino al palo, per lo strimizito 10-0 di fine primo tempo.
La musica non cambia all'inizio della seconda frazione: dire che gli americani nel caos ci sguazzino sarebbe troppo (anche perché il campo pur bagnato non è pesante come quelli europei), ma si trovano decisamente melgio che non subire iniziative dotate di costrutto: ci son momenti in cui l'ovale cambia proprietario anche tre volte nel corso della medesima giocata.
Dopo dieci minuti Declan Kidney non ne può più e cambia tutta la mediana: dentro Eoin Reddan e Ronan O'Gara, per vedere se c'è la possibilità di dar una qualche forma al marasma in cui si dibattono. Inizalmente non cambia granché, anzi gli americani marcano i loro primi tre punti al 53' con l'ala piazzatore James Paterson familiare da quelle parti (gioca con Southland e negli Highlanders), un meritato premio per una abrasiva serie di pick and go (occhio difesa italiana: 'sti qui si buttano dentro alla football americano, strisciando la faccia per terra senza riguardo e paura).
Sia come sia, a forza di schiacciarli, col tempo che passa e con le energie che si fan sempre più rarefatte (finiscono sempre prima quelle di chi è sulla difensiva), alla fine - siamo al 56' - Rory Best si tuffa appena oltre al linea per marcare la meta della sicurezza (statistica dice che con due mete si vince ai Mondiali nel 90% dei casi). O'Gara anche lui sbaglia la trasformazione; poco male, tre minuti dopo Tommy Bowe si fionda in un varco per la sua seconda meta personale e RoG stavolta trasforma, è il 22-3.
Terza meta, ancora un quarto di gara davanti, dopo tanta fatica ci siamo, manca solo la ciliegina sulla torta, il bonus offensivo.
Gli irlandesi ci provano col trademark della maul avanzante dopo la rimessa per diverse volte, ma l'abnegazione delle Eagles riesce sempre a frenarli, con le buone o con le cattive (non trascendentale l'arbitraggio di Craig Joubert: l'impressione è che tutti i referee siano molto attenti ai dettagli ma a volte lascino passare o meglio si perdano aspetti più importanti).
Prova che ti riprova, il quarto finale si esaurisce e ci scappa anche l'infortunio grave: un'apertura improvvida dei Verdi finisce nelle mani della "spia" Paul Emerick, esperto centro la scorsa stagione a Ulster dopo trascorsi a Parma e Catania, il quale finalizza indisturbato in meta. Non è servito scomodare il poco sollecitato Ngwenya all'ala, il giocatore più rinomato delle Eagles, per attraversar la linea Verde.
Ha il suo bel dire alla fine capitan O'Driscoll: “We didn’t play well, we played to win. It’s a job done I suppose: you have to win ugly at times": c'mon, la dica tutta che giocavano per il bonus! Più importante del bonus che ha un peso più psicologico che altro, gli irlandesi erano in campo per ricostruire un po' di confidenza, dopo un mese di grattate di testa non solo metaforiche. Oggi non hanno trovato molte risposte, a parte una, abbastanza destabilizzante: meglio O'Gara all'apertura.
Tant'è, tutto sommato son pur sempre al secondo posto del girone; tutto è rimandato quindi a sabato prossimo, quando troveranno l'Australia, sempre che decidano di farne un Test match preparatorio per l'Italia: sarebbe una dimostrazione di saggezza e consapevolezza. Se invece vorranno provare a vincere, tanti auguri e meglio per noi.
Nel frattempo, per quanto ci riguarda sarà meglio iniziare a passarci qualche video di Eagles e anche dei Russi prossimi venturi. Sono anni (tutta la gestione Mallett) che di "minnows" abbiamo incrociato solo il Giappone: non siamo più abituati a vincere sia pur "ugly" ma solo a perder (più o meno) bene, quindi il rischio è alto. Per fortuna abbiamo a disposizione tra i trenta convocati diversi reduci dalla Nazionale A, forse sarà il caso di riesumare la strategia del Team B, apparentemente non di moda in questi Mondiali, da dedicare al "lavoro sporco". Good news, bad news.
Magazine Rugby
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