"Buone feste" da Sabrina Rizzo

Creato il 15 dicembre 2011 da Fine

Buon giorno, amici lettori.
Andiamo a scoprire cosa si nasconde dietro la finestrella del 15 Dicembre...
Ringraziamo tantissimo l'autrice che si è unita ai nostri festeggiamenti, una persona gentilissima che ci ha donato un grande momento di dolcezza e serenità. Sto parlando di...


Sabrina Rizzo nasce a Bolzano nel 1973. È sposata e ha due figli. Oltre alla passione per la vita e la scrittura, legge, cucina e canta in un coro. Pubblica il suo primo romanzo, Destino, con Linee Infinite. Collabora come narratrice per la collana Voci e racconti della Gds Edizioni.

Il suo romanzo
Destino è un fantasy romance ambientato ai nostri giorni. Micaela pensa di essere una ragazza comune, ma nel giorno del suo diciottesimo compleanno scoprirà che non è così e la sua vita cambierà. Le verrà rivelato infatti, che possiede la capacità di guarire con il tocco delle mani e di incantare, con il suono della voce, le creature magiche e gli animali. Gli Elfi boschivi, che grazie alla preveggenza sono a conoscenza della sua esistenza e dei suoi doni, cercheranno di proteggerla dal popolo degli Oscuri che la cercano per catturarla e usare i suoi poteri per fini malvagi. Galdasor, principe degli Elfi, che invece vuole proteggerla e aiutarla a controllare e accrescere le sue doti naturali, deciderà di condurla nelle sue terre. Serevon, sovrano degli Oscuri, cercherà con ogni mezzo di ostacolare questa fuga e di catturare Micaela per dominare il mondo e soddisfare la sua brama di potere. Tra amicizie e tradimenti, inganni e colpi di scena, Micaela affronterà molte prove per aumentare i suoi poteri, sconfiggere gli Oscuri e vivere il suo sogno d’amore con Galdasor.
Ora lascio la parola a Sabrina e ai suo auguri di "Buone feste"
(copertina fatta da Fine e Sogno)
La porta del negozio si richiuse alle mie spalle. L’aria pungente di dicembre mi sferzò il volto e per un attimo rimpiansi il delicato tepore e il dolce profumo che aleggiavano all’interno della pasticceria.Mi calai il cappellino di lana azzurra tirandolo bene sulle orecchie, mi infilai i guanti coordinati e mi avviai lungo la strada.Le gambe erano stanche e pesanti, la schiena mi doleva sempre più e mi sentivo una balena con l’andatura di una papera. Avevo la convinzione che presto il pancione sarebbe scoppiato come un pallone troppo gonfio.Le mie amiche mi avevano avvisata: “Prima del parto non vedrai l’ora che il bimbo nasca!” Avevano ragione, ma non avrei mai creduto di poterlo anelare così intensamente.Pazienza... dovevo portare ancora un pochino di pazienza, il termine era molto vicino e presto la mia creatura sarebbe venuta al mondo.Sospirai e mi apprestai ad affrontare la salita.Chissà perché quando si è incinta si scoprono pendenze mai notate prima e si comprendono le difficoltà di deambulazione degli anziani.Percorsi quattrocento metri con difficoltà e, sebbene avessi sostato spesso e volentieri, giunsi davanti alla soglia con il fiatone.Infilai la chiave nella serratura e aprii la porta con un forte senso di sollievo: casa!Mi spogliai, indossai una comoda tuta premaman poi accesi il caminetto. Mi sdraiai sul divano cercando di rilassarmi e decisi che quella sera avrei ordinato una pizza evitandomi anche la fatica di spignattare.Una fitta intensa e dolorosa mi percorse la zona lombare e proseguì in direzione del ventre lasciandomi quasi senza fiato. Mi ero stancata troppo!Sollevai le gambe e poggiai i piedi sul bracciolo del divano con la speranza di alleviare il senso di pesantezza. Mi massaggiai l’addome mentre il dolore scemava rimproverandomi per aver lavorato così tanto.Era la Vigilia di Natale e un sacco di persone avevano ordinato dolci, senza contare tutta la gente che si fermava a bere un caffè o una cioccolata calda tra un acquisto e l’altro. Non avevo potuto lasciare mia sorella e mia madre a gestire da sole il bar-pasticceria.Il calore del fuoco e l’ipnotico gioco delle fiamme nel camino mi stavano rilassando facendomi scivolare in un dolce torpore. I miei pensieri vagarono sui preparativi per il pranzo di Natale, ai regali e al desiderio che conservavo nel cuore. Fu inevitabile pensare al passato.Mia madre diceva sempre che la nonna soffriva di senilità, che a volte vedeva cose e creature inesistenti ed era con un certo timore che, da piccola, andavo a trovarla al ricovero.Incontrare questa vecchina che raccontava di vedere strane creature fantastiche mi affascinava e mi spaventava allo stesso tempo.Non era il fatto che lei vedesse cose magiche a mettermi ansia, anzi! Ero piuttosto affascinata da quell’idea, dato che ero una bambina. Era il modo in cui mi guardava a mettermi soggezione e il fatto che mi fissasse mormorando: “Tu li vedrai, hai il dono… anche tu li vedrai!”.All’epoca mi sembrava pazza e temevo di diventare come lei, di restare sola, di essere abbandonata ed emarginata, ma era una vaga inquietudine che svaniva appena tornavo a casa e alla vita quotidiana.Questo durò sino al giorno in cui, intorno agli otto anni, tornai a trovarla.Quando mia madre, mia sorella e io entrammo nella stanza udii un fremito, lieve battito d’ali , una voce squillante come una minuscola campanella e vidi una creatura piccina volare fuori dalla finestra. Questa visione durò pochi secondi, infatti mia nonna, appena udì la porta aprirsi, si voltò per vedere chi fosse entrato. Lei notò il mio sguardo perplesso voltato verso la finestra e quando i nostri occhi si incrociarono mi sorrise, facendo un piccolo cenno di assenso con il capo.Da quel momento cominciai a vedere e sentire creature che per gli altri non esistevano e fui terrorizzata dall’idea di essere preda di visioni fantastiche e immaginarie.Ogni volta che udivo le voci di quelle piccole creature, il battito delle loro ali o ne vedevo le figure, mi rannicchiavo spaventata. Accadde però che una creatura incantata, impietosita dalle mie paure, decise di mostrarmi che era reale quanto me.Era una sera d’inverno, i vetri erano appannati dal calore della stanza, seduta al tavolo della cucina fissavo angosciata una fatina che disegnava un cristallo di neve sulla finestra. Perché dovevo essere strana? Perché proprio io? Mia sorella, seduta accanto a me, notò quel bellissimo decoro e lo additò stupefatta. Lo vedeva anche lei? Allora non era solo il frutto della mia immaginazione, non era follia. La nonna aveva ragione! Avevo il dono.Da quel momento cominciai a interagire con queste creature senza interferire però nella loro vita sino al giorno in cui ne soccorsi una.Stavo rincasando quando, giunta sulla soglia di casa, udii una vocina che invocava aiuto. La casa bifamiliare che mia sorella e io avevamo comprato al bosco e in quel periodo era un tripudio di colori autunnali nonché di foglie cadute che il vento portava nel nostro giardino. Cercai di seguire il richiamo sbirciando bene tra le foglie a terra, fino a quando riuscii a trovare la fatina ai piedi di un pino.Aveva un’ala lacerata e un braccino sanguinante. Si trovava nel bosco quando un cacciatore aveva fatto fuoco nel tentativo di colpire un cervo. Il colpo aveva mancato la bestiola ma aveva preso lei, per fortuna solo di striscio.La fatina aveva esaurito la polvere fatata per curare le creature del bosco ferite dai cacciatori, non poteva guarirsi e nemmeno volare. Grazie all’aiuto degli animali del bosco, era riuscita ad arrivare da me.La portai a casa, la ripulii e la nutrii. Le rattoppai l’ala con il miele e dopo un paio di giorni la piccola creatura fu abbastanza in forze da poter generare altra polvere fatata e guarire.Prima di ripartire la fatina mi aveva domandato: “Mi piacerebbe ripagarti per l’aiuto. C’è qualcosa che desideri? Un piccolo sogno che ti piacerebbe realizzare?”Glielo sussurrai piano. Lei annuì. “Susy, spero di poterti aiutare, ma non sono certa di riuscirci.”Detto questo se ne volò via. A me non restò che attendere e sperare.Un’altra fitta, più forte delle altre, mi riportò al presente. Era troppo intensa per essere solo stanchezza.Guardai l’orologio e cominciai a contare la distanza tra un dolore e l’altro: contrazioni! Erano regolari e ravvicinate per giunta! Presi in mano il cordless e chiamai mia sorella che ormai doveva essere rientrata a casa. “Sabry… ci siamo!”La comunicazione si chiuse e pochi secondi dopo udii mia sorella che usciva sbattendo la porta per poi scendere le scale a rotta di collo.Filammo in auto verso l’ospedale e durante il travaglio pensai più volte a John, arruolato per missioni di pace in terre lontane, era così tanto che non lo vedevo e avrei dovuto attendere ancora molto prima di poterlo abbracciare di nuovo. La nostra creatura stava venendo al mondo e io lo avrei voluto accanto a me, era l’unico desiderio che avevo.Quando la mia piccina nacque, la presi tra le braccia e mi sentii colma di un amore così grande da spezzarmi il cuore, quando lei mi guardò negli occhi provai un’emozione senza pari.Mi addormentai sfinita ma felice.La mattina dopo, mentre la piccola Katherine dormiva tra le mie braccia, guardai fuori dalla finestra e vidi tanti fiocchi candidi volteggiare nell’aria. Aveva iniziato a nevicare, mi resi conto che era la mattina di Natale.Bussarono delicatamente alla porta della stanza: mia sorella, mio cognato e mia madre si affacciarono tra una marea di palloncini bianchi e rosa.Ci furono baci e abbracci e le lacrime di commozione della nonna che ammirava la nipotina dormiente.Mia sorella richiamò la mia attenzione facendo un annuncio: “Susy, fuori c’è una sorpresa di Natale per te!”La guardai incuriosita mentre usciva dalla porta per rientrare una frazione di secondo dopo. Una figura maschile si stagliò sull’uscio e il mio cuore perse un battito mentre riconoscevo quel volto amato.Il mio John era tornato, era a casa da noi. La gioia mi invase mentre lui mi abbracciava e non potei impedire alle lacrime di scivolare sulle mie guance mentre trovavo le sue labbra calde.“Ho avuto una licenza,” mormorò lui tra un bacio e un altro, “così ho pensato di farti una sorpresa.”Risi felice e lo zittii con un altro bacio. Mentre John sfiorava delicatamente il viso e le manine di Katherine, udii un suono squillante come quello di una piccola campanella e chiesi a mia madre di socchiudere la finestra.Vidi la piccola fatina dell’autunno entrare e volare a nascondersi dietro la tenda. Sbucò con la testina e mi sorrise “E’ stato faticoso ma ce l’ho fatta.” Mimai con le labbra la parola “Grazie” e ricambiai il sorriso con calore.“Grazie a te, Susy. Buon Natale”, replicò lei volando via.Guardai John e la nostra bimba. Non mi importava come la piccina era riuscita nel suo intento, era Natale ed era il giorno più bello della mia vita. Il mio desiderio di avere John a casa per la nascita della bambina era stato esaudito.


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