Buone notizie dalla Birmania/Myanmar: ieri è iniziata la prima storica visita di un Presidente americano in questo Paese asiatico; l’arrivo di Barack Obama ha coinciso con la liberazione di 66 detenuti (fra cui l’attivista per i diritti umani Myint Aye). Obama ha invitato il governo birmano a proseguire sulla strada della democratizzazione e ha incontrato Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione che dopo vent’anni di arresti domiciliari oggi siede in Parlamento. Aung San Suu Kyi ha lanciato un monito: «il momento più difficile in una transizione è quando credi che il successo sia ormai a portata di mano, bisogna stare attenti a non essere ingannati da un miraggio di successo». Per la cronaca dell’evento potete leggere questo articolo dell’agenzia Adn Kronos.
L’apertura della Birmania al mondo – e la fine dell’embargo economico e politico nei confronti del Paese – coincide anche con un grande rilancio del turismo, voce fondamentale per l’economia birmana. Infatti, oggi che il Paese è avviato verso la democrazia non sussistono più le ragioni etiche e politiche che per anni hanno spinto molte persone a non andare in Birmania per non finanziare il suo regime militare. Fra i tesori d’arte che attirano grandi flussi turistici nel Paese c’è l’antica capitale buddhista Bagan, e su questo luogo di straordinario fascino vi invito a leggere un mio reportage, pubblicato il 2 novembre 2012 su Sette, il magazine del Corriere della Sera, con il titolo “Com’era sacra la mia valle”. Troverete anche, alla fine dell’articolo, informazioni pratiche per il viaggio e consigli di lettura. Attendo come sempre i vostri commenti. Buona lettura. MR.
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Scatole di biscotti, armadi a due ante, collane di fiori, detersivi, servizi di piatti, composizioni di bambù, perfino un set di asciugamani con il logo del Manchester United Football Club (probabilmente per qualche monaco buddhista tifoso di calcio): si vede di tutto sui carretti, sulle automobili e sui camion che fanno la fila per portare doni di ogni genere ai monasteri buddhisti della Birmania. In questa coloratissima processione i camion sono così stracarichi da sembrare una versione esotica dei carri del carnevale di Viareggio. Ovunque c’è una chiassosa confusione, un’aria di festa collettiva: gli uomini suonano tamburi e cimbali ballando nelle strade mentre le donne, più composte, sfilano per farsi ammirare negli abiti tradizionali delle cento etnìe birmane.
Oggi è il giorno di luna nuova del mese di Tazaungmon, che secondo il calendario lunare cade fra ottobre e novembre: è il culmine dell’antichissima festa pre-buddhista di kathina, nata per celebrare la fine della stagione delle piogge. Ma il buddhismo birmano – come il cristianesimo in Occidente – ha assorbito in sé le festività preesistenti, perciò attualmente kathina è dedicata ai monaci buddhisti e celebra la fine dei tre mesi di ritiro che questi compiono durante i monsoni. E’ una festa fra le più sentite in Birmania e fra i mille regali possibili ce n’è sempre uno d’obbligo: la tunica arancione, la veste da monaco buddhista. Le tuniche tessute con pazienza dalle donne domani saranno indossate dai monaci ma si vedranno anche sulle statue di quello che è venerato come “il primo monaco”, Siddhartha Gautama detto il Buddha. Tutte le statue del Buddha in Birmania infatti verranno rivestite a nuovo, come segno di rinnovamento spirituale.
E’ questo il momento migliore dell’anno per entrare in quel sogno di antiche pietre che è la pianura di Bagan: 2.200 edifici buddhisti su un’area di 40 kilometri quadrati. Pagode, templi e stupa (reliquiari) immersi nel verde degli alberi reso più brillante dalle piogge appena concluse. Per circa 300 anni, dall’undicesimo al tredicesimo secolo, Bagan fu la capitale di un’orgogliosa dinastia che unificò sotto di sè tutta la Birmania; oggi è una distesa a perdita d’occhio di splendide rovine incorniciate all’orizzonte dalle montagne, uno dei siti archeologici più emozionanti dell’Asia. E ritorna alla vita con la festa di kathina, quando i monaci entrano negli antichi edifici per vestire le statue di Buddha, compiere riti e recitare i mantra. I templi sono gli unici ad avere superato la prova del tempo, perché furono i soli ad essere edificati in pietra: le case e perfino la reggia, costruite in legno, sono andate perdute.
Oggi Bagan è un incanto da qualsiasi punto la si osservi: dal cielo, in mongolfiera, come usano fare i turisti più facoltosi; o da terra, in bicicletta, come amano fare i visitatori più giovani, e con ragione, perché la bici è un ottimo mezzo per aggirarsi fra i duemila templi nella campagna; oppure dall’acqua, su una barca lungo il fiume Irrawaddy che lambisce la pianura. Bagan è un vero scrigno di tesori artistici realizzati in uno spazio e in un tempo limitato: a un italiano può venire in mente il paragone, mutatis mutandis, con lo splendore della Valle dei Templi di Agrigento. Ma le architetture di Bagan sono così numerose da far pensare piuttosto all’insieme di tutte le cattedrali dell’Europa medioevale, però concentrate in una sola piccola zona. E poi dimenticate per secoli, a causa della scomparsa di chi le aveva create.
Templi bianchi e dorati, stupa rosso-mattone, monasteri e venerande biblioteche riportano il visitatore ai giorni di gloria di Bagan: conservano ori e argenti sfuggiti (solo in parte) alle razzìe dei ladri negli ultimi secoli, eleganti sculture di Buddha in bronzo o in legno di teck, lastre smaltate raffiguranti le vite precedenti del Buddha, dipinti murali di squisita fattura con scene della vita di corte di potenti sovrani come Anawrahta. Fu lui, alla fine dell’undicesimo secolo, a far costruire uno dei monumenti più importanti di Bagan, la Pagoda Shwezigon. La sua cupola dorata, che si innalza su tre terrazze, conserva una reliquia preziosa: un dente di Siddhartha, donato dal re di Sri Lanka. Erigendo la Pagoda re Anawrahta realizzava anche un progetto politico: l’affermazione della superiorità del buddhismo theravada sulla religione precedente, il culto magico-animista degli spiriti Nat; perciò i Nat sono raffigurati nell’atto di venerare il Buddha. Il buddhismo theravada diventò così l’ideologia nazionale del nuovo regno birmano, e la sua consacrazione avvenne quando 32 elefanti dell’esercito di Anawrahta giunsero trionfalmente a Bagan trasportando le migliaia di manoscritti del Canone Buddhista, il Tipitaka, sottratto a un regno vicino sconfitto in battaglia. Il suo monarca, fatto prigioniero, fu relegato in una pagoda-prigione con stanze molto piccole contenenti enormi statue del Buddha, in modo che lo spazio fosse appena sufficiente a deambulare intorno alle statue, a significare il disagio della prigionia. Un disagio che il visitatore può sentire ancora oggi.
Appropriandosi del Canone Buddhista Anawrahta diede una legittimazione religiosa al suo regno. Per avere un’idea delle dimensioni e dell’importanza di questo testo ci si può recare, oggi, nella città birmana di Mandalay, dove si trova il “Tempio del Libro più grande del mondo” che custodisce il Canone Buddhista scritto non su carta bensì su pietra: è inciso su 729 lastre di marmo bianco, contenute in altrettante candide cappelle. E’ stato calcolato che una persona, leggendo questo “libro di pietra” per otto ore al giorno senza interruzioni impiegherebbe più di anno – per l’esattezza 450 giorni – a leggerlo tutto.
Questa Valle dei Templi birmana uscì dall’oblìo quando i primi occidentali la scoprirono, rimanendo stupefatti. E’ il caso di Sir James George Scott, giornalista scozzese che nella seconda metà dell’800 lavorò anche nell’amministrazione coloniale britannica in Birmania (ed è ricordato, curiosamente, per avere introdotto nel Paese il gioco del calcio). Sir Scott arrivò a Bagan navigando sul fiume Irrawaddy, e così la descrive nel suo libro The Burman, His Life and Notions: «Questo è per molti versi il più straordinario centro religioso del mondo. Gerusalemme, Roma, Kiev, Benares: nessuna di queste città possiede un tale numero di templi, una ricchezza di forme e decorazioni paragonabile a questa meravigliosa capitale deserta…Per otto miglia di lunghezza lungo il fiume e due miglia di larghezza verso l’interno lo spazio è occupato da pagode di tutte le forme e le dimensioni e il terreno è così fittamente cosparso di resti di templi tanto che un detto popolare sostiene che non si può muovere un piede senza calpestare qualcosa di sacro». Probabilmente all’epoca di Scott i templi presenti a Bagan erano quattromila, cioè circa il doppio di quelli attuali, e ciò giustifica in parte le iperboli entusiaste usate da Scott. Lo scozzese si innamorò della Birmania al punto da firmare il suo libro con un nome birmano, Shway Yoe.
Purtroppo nel 1975 un devastante terremoto ha colpito Bagan riducendo a mucchi di pietre molti dei templi ammirati da Scott, ma gli edifici restanti – in parte restaurati dall’Unesco – giustificano ampiamente la fama del sito. Tuttavia, per quanto possa sembrare incredibile, né Bagan né alcun’altra città d’arte birmana è presente nella lista dei Patrimoni dell’Umanità protetti dall’Unesco: il Myanmar (come oggi è chiamato il Paese) paga la mancanza di credibilità del suo regime politico, fino a ieri dominato da una cricca di militari sanguinari che hanno fatto inorridire il mondo nel 2007, massacrando i monaci buddhisti scesi in piazza a chiedere libertà di espressione. Oggi però la democrazia è tornata nel Myanmar: siede in Parlamento anche Aung San Suu Kyi, “The Lady”, la leader dell’opposizione birmana premio Nobel per la Pace, mentre la censura sulla stampa è stata abolita, dopo ben cinquant’anni, solo il 20 agosto 2012. In questa nuova situazione il mondo sta facendosi avanti per aiutare in vari modi il Myanmar e l’Italia è in prima fila: il 14 dicembre 2011 il governo italiano ha offerto 400.000 euro all’Unesco per la salvaguardia dei beni culturali birmani, anzitutto a Bagan.
Fra i tesori d’arte che hanno urgente bisogno di tutela ci sono sicuramente i dipinti murali, minacciati dal distacco degli intonaci e dagli escrementi dei pipistrellli che vivono nei templi. Sono dipinti che testimoniano il trascorrere della Storia e anche la fine della civiltà di Bagan. Per esempio in un monastero vennero ritratti dei soldati mongoli: quelle immagini – visibili oggi in un antro oscuro alla luce delle torce – costituiscono una testimonianza fondamentale della caduta di Bagan. Furono proprio i mongoli infatti a invadere la Birmania e a conquistare la sua capitale; giunsero inarrestabili a ondate successive, comandati prima dall’imperatore Kublai Khan e poi da suo nipote Yesu Timur. Dopo una vana resistenza, Bagan si arrese definitivamente nel 1287 e il suo ultimo re fuggì dalla città sancendone il declino. La fine del regno di Birmania ad opera dei mongoli venne narrata da un viaggiatore italiano piuttosto noto: Marco Polo. Che nel paragrafo 106 del suo celebre libro Il Milione irride la Birmania – chiamata con il suo nome cinese, Mien – dicendo che Kublai Khan per conquistarla non aveva inviato soldati, bensì…giullari. A significare come la conquista fosse stata facile. Così, nello scherno, e con un re in fuga, finiva la gloria di Bagan. Che però ai nostri occhi oggi rifulge intatta. E più che degna di essere preservata. (MR)
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Box: Il Monte Popa, l’Olimpo degli spiriti birmani
I birmani li chiamano Nat: sono gli spiriti guardiani dell’aria, dell’acqua e della terra. La loro dimora è il Monte Popa, e lì vengono evocati dai medium che si fanno possedere in trance. Il Monte Popa – ciò che resta di un vulcano spento – è una sorta di Olimpo per gli antichi culti magico-animisti della Birmania; si trova nella regione di Bagan, e le cerimonie di possessione che lì si celebrano, chiamate Nat Pwe, testimoniano la sopravvivenza di credenze pre-buddhiste in un Paese che ufficialmente è seguace di una forma rigorosa e “laica” di buddhismo, il Theravada. Nel Canone Buddhista della scuola Theravada (il più antico oggi esistente) non solo non si parla mai di spiriti, ma nemmeno di metafisica o di Dio, né lo stesso Buddha afferma mai di essere un dio. Tuttavia il buddhismo non è mai riuscito a estirpare le più antiche tradizioni popolari, come il culto dei Nat con le trance medianiche, l’astrologia o la pratica dell’alchimia, legata alla ricerca dell’immortalità per mezzo della “pietra di metallo vivente” (forse il mercurio). Anche la capitale buddhista dell’antico regno di Birmania, Bagan, dovette arrendersi al culto dei Nat: a destra e a sinistra del Tharabar Gate – l’unica porta rimasta della città fortificata – sorgono ancora oggi gli altari dedicati a due Nat, il Signore della Montagna e sua sorella Volto Dorato. Il culto degli spiriti ha sconfitto il rigore della filosofia buddhista. (MR)
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Per saperne di più: libri da non perdere
Birmania. Sui sentieri dell’oppio. Di Aldo Pavan, Feltrinelli Traveller, 2007, pp. 133, euro 13.
Birmania Myanmar (libro fotografico). Di Gianni Limonta, Leonardo Arte, 1996, pp. 168, euro 45
Fiabe birmane. Di Guido Ferraro e Gabriella Buscaglino, Franco Muzzio, 1989, pp. 270, euro 12,50
Il tempo della meditazione vipassana è arrivato. Di Sayagyi U Ba Khin, Ubaldini, 2012 (prima ediz. 1993), pp. 180, euro 15,50
Lettere dalla mia Birmania. Di Aung San Suu Kyi, Sperling & Kupfer, 2007, pp. 207, euro 16,50
Giorni in Birmania. Di George Orwell, Oscar Mondadori, 2006 (prima ediz. 1934), pp.332, euro 8
Bagan. Temples and Monuments of Ancient Burma (libro fotografico). Di Barry Broman, Booknet Paperback, 2003, pp.80
————————————————————————-Birmania: informazioni pratiche
Come arrivare
Non ci sono voli diretti fra l’Italia e la Birmania/Myanmar. Fra le linee che operano su questa tratta alcune delle più utilizzate sono: Qatar Airways (qatarairways.com) che opera da Milano, Roma e Venezia facendo scalo a Doha (capitale del Qatar) con tariffe A/R a partire da 985 euro; Etihad Airways (etihadairways.com) che opera da Milano e Roma facendo scalo negli Emirati Arabi Uniti con tariffe A/R a partire da 1000 euro circa; Thai Airways (thaiairways.co.it) che opera da Milano e Roma con scalo a Bangkok e ha tariffe A/R di circa 1050 euro.
Informazioni
Il periodo migliore per visitare la Birmania/Myanmar è la stagione fra novembre e marzo, quando le precipitazioni sono scarse e il clima è caldo secco. Da evitare invece la stagione dei monsoni fra luglio e settembre. Non esiste un ufficio del turismo birmano in Italia ma informazioni utili si possono trovare sulla guida in italiano Birmania Myanmar pubblicata da EDT/Lonely Planet (pp. 520, euro 22) oppure sul sito ufficiale (in inglese) dell’ Ente del turismo birmano (myanmar-tourism.com/). Per visitare la Birmania è necessario avere il passaporto con validità di sei mesi e un visto turistico che si può richiedere all’Ambasciata del Myanmar (Viale di Villa Grazioli 29, 00198 Roma. Tel: 06-36303753 – 36304056). Il visto ha una validità di 28 giorni. Nel Paese si parlano il birmano e decine di dialetti ma fra i ceti medio-alti è diffuso anche l’inglese. Non ci sono vaccinazioni obbligatorie. La moneta ufficiale è il kyat, il fuso orario è avanti di quattro ore e mezza rispetto all’Italia.
Dormire e mangiare
A Bagan. Bagan Hotel River View. Nei pressi dell’Archeological Museum, Old Bagan, albagho2@bagan.net.mm, tel. +9562 70145, camera doppia da 65 euro. Vecchio hotel d’atmosfera, camere in legno, ristorante in giardino con vista sul fiume accanto a un’antica pagoda. Cucina birmana e internazionale.
A Yangon. The Strand Yangon. Strand Road 92, Yangon, it.lhw.com/Rate/The-Strand-Yangon, numero verde dall’Italia 800822005, camera doppia da 250 euro. Costruito nel 1901, è l’hotel più famoso della Birmania, ricco di storia e di fascino. Improntato a un lusso “coloniale”, fa parte dei Leading Hotels of the World. Cucina di gran classe.
A Mandalay. Mandalay Hill Resort Hotel. 10th Street, ai piedi della Mandalay Hill, Mandalay, mandalayhillresorthotel.com/, 9MDYHILL@mptmail.net.mm, camera doppia da 120 euro. Elegante albergo di impronta internazionale, con cinque ristoranti (cucina europea, birmana e cinese), spa e fitness center. Camere in stile occidentale con pezzi di antiquariato birmano.
Sul lago Inle. Khaung Daing Inle Resort. Nyaung Shwe Township, Lake Inle, hupinhotelmyanmar.com/khaungdaing, hupinrsvn@gmail.com, camera doppia da 50 euro. Intorno a un edificio centrale in stile tradizionale si distende una serie di cottage in legno, affacciati sul lago Inle. Un resort non lussuoso ma grazioso, ideale per il relax e per apprezzare la vita lacustre dei birmani. Gustosa cucina locale.
Da vedere
Bagan. Oltre duemila antiche pagode buddhiste distese su una grande pianura lambita dal fiume Irrawaddy. Bagan, capitale della Birmania fra l’unicesimo e il tredicesimo secolo, è uno dei più affascinanti siti archeologici dell’Asia. Che raccontiamo nell’articolo in queste pagine.
Yangon. In epoca coloniale era nota come Rangoon ed è stata la capitale del Paese fino a pochi anni fa. Ma rimane il cuore della Birmania e contiene testimonianze storiche e artistiche di primissima importanza. Come l’enorme Pagoda Shwedagon al cui interno – fra mille piccoli templi e statue di spiriti – si possono ammirare i riti tradizionali del buddhismo birmano. Non mancano, in città, vari centri di ritiro spirituale frequentati da occidentali che praticano la meditazione vipassana.
Mandalay. Un tempo città mitica per la sua bellezza, oggi è in parte rovinata dall’incalzare della modernità. Ma conserva ancora luoghi di grande fascino, come il Tempio del Libro più Grande del Mondo (il Canone Buddhista inciso su 729 lastre di marmo) o come l’enorme statua dorata del Buddha nel tempio di Mahamuni, oggetto di un culto vivissimo da parte dei birmani.
Lago Inle. E’ un gioiello naturalistico, segnato da un magico (e fragile) equilibrio uomo-ambiente. Caratterizzato dagli orti galleggianti che i contadini talvolta spostano trainandoli con le barche. E’ un mondo d’acqua dove tutto è su palafitte - case, templi, scuole – e dove perfino le bancarelle dei mercatini sono su barche. Imperdibile.