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Buongiorno, sono Stanley Kubrick

Creato il 26 gennaio 2014 da Fidelio

Emilio D'Alessandro Stanley KubrickBuongiorno, sono Stanley Kubrick. È lei il pilota di cui si parla in questo articolo?“. Inizia così il racconto di Emilio D’Alessandro che ricorda, nel meraviglioso libro Stanley Kubrick e me, la sua vita accanto a uno dei massimi esponenti del mondo del cinema. Se anche voi siete sempre rimasti affascinati dal suo genio e dai suoi film dovreste leggere questa sorprendente storia. L’italiano Emilio D’Alessandro lascia Cassino nel 1960 per sfuggire al servizio militare e trova rifugio a Londra, svolge molti lavori ma coltiva sempre la sua passione per le automobili. Diventa pilota di Formula Ford e in seguito tassista privato entrando in contatto con la Hawk Films, la società di produzione di Arancia meccanica. Da questo momento in poi trascorre la sua vita (lavorativa) insieme a Kubrick e voi magari vi starete chiedendo in quale veste: autista, tuttofare, assistente? No, Emilio rappresenta molto di più, diventa un membro della famiglia. Con gli anni conquista totalmente la sua fiducia e solo lui ha il privilegio di entrare negli uffici privati del regista e l’onore di muoversi e riordinare le sue carte e i suoi preziosi appunti. Come sostiene il curatore del libro Filippo Ulivieri, Emilio D’Alessandro è l’unica persona a rimanere con lui per così tanto tempo ma soprattutto è l’unico a restare non perché fosse Kubrick, bensì perché è Stanley e questo la dice lunga sulla natura del loro rapporto. Durante lo scorrere delle pagine emerge anche un lato di Kubrick meno conosciuto, sappiamo che era esigente e meticoloso nel lavoro e talvolta diffidente di alcuni nuovi collaboratori, ma ora è chiaro di quanto dopo ne riconoscesse il merito, era una persona molto generosa e umile e sapeva ascoltare anche le opinioni altrui, amava alla follia la sua famiglia e allo stesso modo gli animali. Concludo con un piccolo estratto e con quello che a mio avviso meglio rappresenta l’essenza del libro: “Ogni volta che ci separavamo, Stanley mi salutava con un sorriso. Non diceva nulla, ma sapevo che quello era un “grazie”. Del resto era così gentile con me che non riuscivo mai a dirgli di no. Con tutti i suoi pregi e difetti, le sue stramberie, e la sua ammirevole integrità, Stanley mi aveva conquistato. Gli volevo bene. Era compito mio non fargli perdere tempo, liberarlo dalle piccole e grandi incombenze della vita, perché lui potesse semplicemente essere Stanley Kubrick.

(fonte: Stanley Kubrick e me - Emilio D’Alessandro con Filippo Ulivieri. Il Saggiatore)

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