L'uomo, come è noto, è un animale onnivoro come molti altri; questa categoria è la più ampia, le specie che ne fanno parte hanno la possibilità di cibarsi di molteplici e diverse forme alimentari: vegetali, bacche, piccole o grandi prede e tante altre varianti. Nonostante questo ampio ventaglio di possibilità, la dieta dell'uomo è molto più ristretta rispetto agli altri animali onnivori. Ciò è dato dal fatto che molte derrate sono inadatte ad essere mangiate dalla nostra specie, mentre in molti altri casi pur essendolo, non vengono considerate cibo dall'uomo.
(Annibale Carracci, Il mangiafagioli, 1584-1585)
Strettamente connesso a quanto appena affermato è il fatto che in alcuni luoghi vengono considerati prelibati cibi che in altri a stento si riesce a concepire come commestibili. Perché ciò accade? Indubbiamente i meccanismi che regolano questi fenomeni sono molto complessi e risulta difficoltoso analizzarli tutti in questo breve articolo, tuttavia vi sono alcune dinamiche interessanti e importanti anche per definire meglio in che direzione sta andando il nostro rapporto con il cibo.
Del resto J. Soler in "The Semiotics of Food in the Bible, a cura di R. Foster e O. Ranum, Food and Drink in History: Selection from the Annales, Economie, Société, Civilisation; Baltimore 1979, p. 129" afferma che se si vuole mettere in luce il consumo di un cibo o il rifiuto a cui è soggetto da parte di un popolo "la spiegazione non dev'essere cercata nella qualità delle derrate alimentari (...) ma nelle strutture mentali di un popolo".
Detto ciò bisogna però ricordare che i significati culturali che il cibo assume per un popolo, siano essi positivi che negativi, si mescolano inevitabilmente con preferenze ed avversioni, intese come elementi del processo evolutivo. Sono queste due infatti che prima di ogni altra cosa hanno influenzato le scelte alimentari, inducendo i nostri progenitori a preferire determinati cibi al posto di altri, evitando così di assumere sostanze dannose o addirittura letali per l'uomo o, più semplicemente meno vantaggiose dal punto di vista energetico.
Oltre a ciò, nell'atto fisiologico ed evolutivo, costi e benefici hanno da sempre avuto un ruolo importante nelle scelte alimentari, anche il clima e il "fattore ambiente" in passato hanno sempre concorso nell'influenzare le decisioni.
(Juan Van Der Hamen, Natura morta, 1624)
Il concetto di "buono" è diverso anche all'interno di una società, non solo tra sistemi diversi. Ciò che è considerato buono e desiderabile (o semplicemente commestibile) da un ceto sociale può non esserlo per un altro; questo è dovuto anche al fatto che il cibo incarna all'interno di un sistema sociale significati legati al prestigio o all'appartenenza ad una categoria piuttosto che un'altra. In diversi articoli precedenti si è già spiegato come in passato si credesse che i cibi consumati dai ceti elevati fossero dannosi per quelli bassi, e viceversa gli alimenti consumati dai poveri non fossero commestibili per i ricchi.
Nella logica riguardante cosa sia "migliore" da mangiare, trova molto importante l'aspetto etico della questione. Molti libri hanno dedicato spazio a questo tema negli ultimi anni; il cibo deve far bene all'ambiente e al tempo stesso deve rispettare i nostri principi e le nostre idee.
Conseguentemente a ciò esso diventa simbolo dei nostri valori, quasi una prova materiale di essi. Nel rispetto dell'ambiente il cibo deve essere anche per alcuni vantaggioso dal punto di vista economico. Viene anche assunto a veicolo per cambiare il Mondo e recuperare l'antico rapporto uomo-natura e, al tempo stesso, per le sue implicazioni benefiche sulla salute dell'uomo.
Spesso però si genera confusione e le aspettative vengono disattese, questo perché se da un lato le informazioni sugli alimenti non sono sempre comprensibili o presenti, dall'altro il consumatore ahimè è sempre più pigro e disattento (nonostante vi sia una rinnovata attenzione negli ultimi anni a ciò che si mangia). Potremmo approfondire queste tematiche ulteriormente, nei prossimi articoli vi sarà modo di affrontare vari argomenti riguardanti gli aspetti trattati.
L'idea utopica di molti, e un po' anche la mia, è poter consegnare alle generazioni future cibi che riescano in se a condensare "il buono" e "il migliore", nelle più ampie accezioni. Incominciare a discuterne seriamente può essere un primo passo per aprire la nostra mente alla possibilità e al dialogo culturale.