Pensavate che il Pd fosse morto? Sbagliato. Dalle schermaglie che dalemiani e veltroniani hanno ripreso ad ingaggiare su tutto – giustizia, economia, sistema elettorale, alleanze, primarie, ecc. – si capisce che nel partito c’è fermento, per lo meno non c’è più apatia, e le idee ricominciano a fiorire. Non ne vedi due uguali, ma fioriscono.Naturalmente ci sono gli incontentabili ai quali non basta che il Pd ridia segni di vitalità e prenderebbero che non fossero solo di conflittualità interna. Diciamolo subito: sono i critici della dialettica interna, sono quelli subito pronti a pigliare le difese di Gianfranco Fini ma che vorrebbero un Pd monolito come il Pdl. Democratici a chiacchiere, non capiscono che la dialettica tra Veltroni e D’Alema è il più prezioso contributo della sinistra ad un partito di centrosinistra. Che non si esaurisce nei reciproci dispettucci quotidiani dei fidelizzati all’uno e all’altro, ma da qualche tempo ha i connotati di una vera e propria terza componente, a volte a lato e a volte sopra il vivacissimo dialogo tra la virile socialdemocrazia dalemiana e la soffice liberaldemocrazia veltroniana, più spesso sotto.Questa terza componente non sta parata a falange, e già questo dà il senso della novità: si possono mettere in circolazione idee senza arroccarsi in una fondazioni o aprire una tv, c’è il web, la voglia di emergere, la faccia pulita, l’animo carino, via la posa cinica e cazzuta e il sarcasmo a fil di baffetto, via l’irenismo flaccido e inconcludente che mi cola di qua e di là. Questi Marino, questi Renzi, questi Civati – li guardi, li senti e capisci che sono di un’altra razza – capisci che il Pd è rinato, ma rinnovato.“Io non sono tanto affezionato alle formule”, dice Civati (Libero, 14.9.2010), ma non ci rinuncia: “un’alleanza con Vendola e Di Pietro per verificare la possibilità poi di estenderla”. “Aberrante” è “il concetto di fare un’alleanza contro Berlusconi” per farlo cadere, “ammesso che cada”, ma c’è un’alternativa: “se cade, fare un’alleanza che vada oltre Berlusconi”. È l’uovo di Colombo: si leva all’alleanza il grosso della fatica, lasciandolo a Berlusconi, e ci si concentra sul come evitare che, dopo esser caduto, si rialzi per l’ennesima volta.Per fare questo occorre innanzitutto “rottamare il gruppo dirigente”. Quando? “Quando sarà il momento”. Prima o poi D’Alema a casa dunque? Macché, “Berlusconi ha tenuto insieme Fini e Bossi, noi riusciremo a tenere insieme Renzi e D’Alema”. Ma allora chi ha da esser rottamato, Bersani? No, Bersani va bene, solo che deve svecchiare lo stile, per esempio rinunciare ai suoi “proverbi” («il tortello a misura di bocca», «le bambole da pettinare»…): non sono “proverbi”, ma a Civati non piacciono.Uno ascolta le brillanti idee dei giovani emergenti e finisce per preferisce gli opachi rancori dei vecchi sommersi.
Pensavate che il Pd fosse morto? Sbagliato. Dalle schermaglie che dalemiani e veltroniani hanno ripreso ad ingaggiare su tutto – giustizia, economia, sistema elettorale, alleanze, primarie, ecc. – si capisce che nel partito c’è fermento, per lo meno non c’è più apatia, e le idee ricominciano a fiorire. Non ne vedi due uguali, ma fioriscono.Naturalmente ci sono gli incontentabili ai quali non basta che il Pd ridia segni di vitalità e prenderebbero che non fossero solo di conflittualità interna. Diciamolo subito: sono i critici della dialettica interna, sono quelli subito pronti a pigliare le difese di Gianfranco Fini ma che vorrebbero un Pd monolito come il Pdl. Democratici a chiacchiere, non capiscono che la dialettica tra Veltroni e D’Alema è il più prezioso contributo della sinistra ad un partito di centrosinistra. Che non si esaurisce nei reciproci dispettucci quotidiani dei fidelizzati all’uno e all’altro, ma da qualche tempo ha i connotati di una vera e propria terza componente, a volte a lato e a volte sopra il vivacissimo dialogo tra la virile socialdemocrazia dalemiana e la soffice liberaldemocrazia veltroniana, più spesso sotto.Questa terza componente non sta parata a falange, e già questo dà il senso della novità: si possono mettere in circolazione idee senza arroccarsi in una fondazioni o aprire una tv, c’è il web, la voglia di emergere, la faccia pulita, l’animo carino, via la posa cinica e cazzuta e il sarcasmo a fil di baffetto, via l’irenismo flaccido e inconcludente che mi cola di qua e di là. Questi Marino, questi Renzi, questi Civati – li guardi, li senti e capisci che sono di un’altra razza – capisci che il Pd è rinato, ma rinnovato.“Io non sono tanto affezionato alle formule”, dice Civati (Libero, 14.9.2010), ma non ci rinuncia: “un’alleanza con Vendola e Di Pietro per verificare la possibilità poi di estenderla”. “Aberrante” è “il concetto di fare un’alleanza contro Berlusconi” per farlo cadere, “ammesso che cada”, ma c’è un’alternativa: “se cade, fare un’alleanza che vada oltre Berlusconi”. È l’uovo di Colombo: si leva all’alleanza il grosso della fatica, lasciandolo a Berlusconi, e ci si concentra sul come evitare che, dopo esser caduto, si rialzi per l’ennesima volta.Per fare questo occorre innanzitutto “rottamare il gruppo dirigente”. Quando? “Quando sarà il momento”. Prima o poi D’Alema a casa dunque? Macché, “Berlusconi ha tenuto insieme Fini e Bossi, noi riusciremo a tenere insieme Renzi e D’Alema”. Ma allora chi ha da esser rottamato, Bersani? No, Bersani va bene, solo che deve svecchiare lo stile, per esempio rinunciare ai suoi “proverbi” («il tortello a misura di bocca», «le bambole da pettinare»…): non sono “proverbi”, ma a Civati non piacciono.Uno ascolta le brillanti idee dei giovani emergenti e finisce per preferisce gli opachi rancori dei vecchi sommersi.
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