C’è lo statista Obama e c’è lo statista Berlusconi. Ci sono uomini e caporali. Sindacalisti e sindacalisti.
Creato il 07 settembre 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Ci sono statisti e statisti come ci sono gli uomini e i caporali. A volte è una vocazione, altre una maledizione, altre ancora un obbligo imposto dalla storia (essere statisti). C’è lo statista Barack Obama che prepara un piano di investimenti di 300 miliardi di dollari (sono proprio miliardi, non abbiamo le traveggole), per finanziare le opere pubbliche e dare aiuti alle amministrazioni statali e locali. L’obiettivo è abbattere la disoccupazione, spingere gli americani a incentivare i consumi, far circolare denaro, aumentare di un paio di punti il Pil, ridare una boccata d’ossigeno a una nazione sull’orlo della seconda, grande recessione della sua storia. Ai repubblicani, e quindi all’opposizione, Obama offre un programma di rimborsi fiscali diluiti nel tempo ma nessuno, diconsi nessuno, avrà nulla da perdere da una manovra che ha lo scopo di far tornare l'America a crescere economicamente, è richiesto solo un piccolo anticipo. Poi c’è lo statista Silvio Berlusconi che, evidentemente, la pensa in modo dissimile dal presidente degli Stati Uniti ma lui, si sa, è un diverso. Per incentivare i consumi, Silvio aumenta di un punto l’Iva portandola al 21 per cento. Quelli che hanno un reddito annuo superiore ai 300 mila euro pagheranno un misero 3 per cento in più di chi ne piglia 12 mila, e le donne dovranno andare in pensione più tardi, dal 2014. Ovviamente alle opposizioni Silvio non offre un cazzo. E tanto per far capire a Obama che lo statista è lui, invece di tutelare i posti di lavoro e di assicurarne di nuovi (e meno precari) alle generazioni future, Berlusconi cancella l’articolo 8 della Costituzione, come a dire: “Licenziate pure tutti che a me non frega una mazza”. L’anima nera dell’antioperaismo e dell’antisindacalismo è Maurizio Sacconi. Qualche giorno fa ne abbiamo tracciato l’alto profilo umano e politico, e dimostrato che il ministro del welfare ha in particolare antipatia proprio quel mondo del lavoro del quale occupa abusivamente il dicastero. A lui gli operai stanno proprio sulle palle, tanto che quando ne vede uno la tentazione di ricorrere alla Magnum d’ordinanza ministeriale è davvero molto forte. Se dipendesse da lui, gli operai a fine turno li trasformerebbe in sagome umane da impallinare visto che in catena di montaggio non fanno un cazzo tutto il giorno. A sciopero ancora in corso, con i manifestanti che ripetevano in coro “l’articolo 8 non si tocca”, il guelfo Sacconi ha fatto sapere “Non ci pensate neppure, l’articolo 8 deve andà affanculo”. Che Sacconi sia un anticomunista viscerale è un fatto che non ha mai nascosto, ma che lo sia ancora nel 2011, quando gli unici comunisti rimasti bivaccano come mucche al pascolo in una riserva indiana, ci sembra onestamente un controsenso politico ed esistenziale. Ma si sa, ai craxiani doc tutto ciò che è rosso causa fastidiosissimi attacchi d’orticaria. Lo sciopero è stato un successo, inutile nasconderlo. A tarda sera l’esangue Raffaele Bonanni, leader maximo di una Cisl a pezzi, è stato colto da una crisi di nervi che la colf ucraina, assunta in nero, ha tentato inutilmente di sedare con una flebo di valeriana proveniente dai verdi pascoli abruzzesi. Quando si è reso conto di essere fuori dalla storia del sindacato, e che un giorno verrà ricordato come una sorta di Attila che ha contribuito a radere al suolo lo Statuto dei Lavoratori, Bonanni si è guardato allo specchio e ha pianto. Poi ha telefonato ad Angeletti il quale, nella casa paterna di Greccio, stava dando fondo alle botti di Montefalco Rosso: lui i comunisti preferisce berli. Accortisi entrambi di aver cannato paurosamente, per non dare l’impressione di seguire la Cgil nel suo “demenziale” percorso pro-mondo del lavoro, i due leader, che fra un po’ rappresenteranno solo se stessi, si sono lasciati andare ai ricordi del sindacato che fu, di quello che scendeva in piazza e i risultati si vedevano immediatamente, di quello che, piano piano, era riuscito ad occupare posti di prestigio in tutti i consigli di amministrazione degli enti statali, parastatali, paranormali e paracelsi. Alla fine, nonostante i ripetuti tentativi di isolare la Cgil, portatrice ancora sana di una parvenza di tutela dei diritti dei lavoratori, si sono mestamente resi conto che ad essere isolati sono proprio loro, se si esclude la vicinanza imbarazzante di Pierfy Casini e dell’antirosso Maurizio Sacconi. Tra tutti i cartelli che i manifestanti hanno issato ieri a mo’ di bandiera nelle oltre cento piazze della protesta, ce ne sono stati due che vale la pena di riportare. Il primo diceva: “Divieto di pensione, divieto di futuro”. Il secondo, diretto al presidente Giorgio Napolitano, recava la scritta “Libera nos a malo”. Chi sia il “malo” lo sanno tutti. Quello che resta difficile da capire è chi ci libererà. L’impressione è che, alla fine, come sempre, toccherà a noi medesimi di persona personalmente.
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