Ieri sera la pallavolo femminile italiana ha vissuto la pagina di gran lunga più nera della sua storia. La nazionale di Barbolini è stata inopinatamente eliminata dalla Corea del Sud per 3-1, dando addio per l’ennesima volta alla zona medaglia.
Parlare di maledizione olimpica dei quarti di finale non ci sembra corretto. Se nel corso di un quadriennio una squadra si aggiudica Europei e Coppa del Mondo e poi fallisce Mondiali ed Olimpiadi, significa che in fondo c’è qualcosa che non va.
E dire che le azzurre (ma è solo una nostra supposizione) avevano deciso di perdere con la Russia nell’ultimo match del girone proprio per affrontare nei quarti la Corea ed evitare il sempre temibile Brasile. L’avversario, tuttavia, conta poco o nulla se l’approccio alla partita si rivela timoroso ed incerto.
L’impressione è che l’Italia abbia perso ancora prima di scendere in campo. Negli occhi delle nostre ragazze si percepiva paura, terrore di non farcela, ancora una volta. Man mano che il match si faceva sempre più complesso, le azzurre smarrivano progressivamente certezze e fiducia, non riuscendo mai reagire, ad avere un sussulto d’orgoglio, un fremito di energia.
Esistono modi e modi di perdere: ieri la selezione tricolore ha ceduto senza dignità, senza esprimere il suo vero potenziale, senza lottare. Una squadra sulla carta mai così forte, senza punti deboli, ormai matura per raggiungere finalmente un grande risultato a cinque cerchi.
E’ mancata la testa, e non è la prima volta che accade in un’Olimpiade dove troppo spesso i nostri atleti difettano di personalità proprio nei momenti decisivi. Nello sport si vince e si perde, ma ci piacerebbe che dal campo uscisse un gruppo di atlete a testa alta, con la consapevolezza di aver dato tutto e di aver combattuto con dentro il fuoco dell’ambizione. Invece troppo spesso ci troviamo a raccontare di prestazioni scialbe e prive di furore agonistico. E questo fa male.
OA | Federico Militello