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C’è più gusto ad essere coglioni

Creato il 28 giugno 2011 da Frankezze

C'è più gusto ad essere coglioni
Vorrei essere protagonista di uno di quei spot per le birre in cui si esalta la figura psico-sociale del coglione. L’attore ha la pancetta, o qualcosa di tardivo nello sguardo; è goffo, o fa qualcosa di stupido; a un certo punto guarda dritto in camera e sorride. Tu pensi: “What a coglion”. Ma in fondo resti affascinato dalla sua serenità. E corri al supermercato a fare il pieno di quella marca di birra.

Ho avuto una sorta di epifania: ero al mare, in vacanza qualche giorno coi miei amici di sempre, che ho ritrovato più coglioni di quanto mi ricordassi. “Quanto siete coglioni, amici miei!”. E come siamo stati bene, insieme.

Un tempo ci vergognavamo di essere così coglioni. Tutta la faticaccia dell’inserimento e del posizionamento in società partiva dall’occultamento della congenita coglioneria. Il mercato del consenso ci voleva furbi, brillanti, efficaci. Ci siamo piegati al mercato. Ma non potevamo resistere al richiamo della natura. E poi il coglione è un genere vintage, che ritorna sempre.

La gente ci acclamava: “Co-glio-ni, co-glio-ni…”. Intorno a noi sentivamo il calore della popolarità. Eravamo nella piazza centrale dell’isola greca di Spirogolidis, 73 abitanti, di cui 8 titoli tossici e una famiglia di bond tedeschi, severissimi, in uniforme. Ma poco importa, era un campione rappresentativo di quest’epoca nostra.

Perché, vedete, c’è nel coglione una sorta di purezza. Una purezza che spesso può venire strumentalizzata: si sa che il coglione, il testicolo, è uno che subisce gli eventi, uno che viene sfruttato per le sue doti e poi messo da parte. E i meriti se li prendono gli altri. Ma io vedo in quella purezza una forma di resistenza: un’opposizione pre-politica al fallocentrismo della performance.


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