Questa sera tornando a casa in autobus, mentre ero intenta a scrivere sms e persa in mie personali considerazioni ho sentito un signore, seduto un poco più avanti del mio, che parlava al telefono.
Nel giro di cinque minuti ho saputo praticamente tutto quello che c’era da sapere sulla sua persona, sui suoi beni e sulla sua salute.
Ho conosciuto la sua partita IVA, il suo codice fiscale, i dati catastali della casa sita in via B….., nr.5; ho saputo che doveva andare dall’urologo per problemi di prostata mentre la moglie soffriva di frequenti emicranie (effettivamente visto il volume della voce e il cicaleccio continuo posso capirne l’eziologia), ho saputo nel dettaglio i suoi orari di lavoro e quando porterlo o meno trovare in casa.
Fossi stata una ladra avrei saputo come, dove e quando andare a casa sua, certa di non trovarci nessuno; ci mancava poco che dicesse anche a quanto ammonta il suo conto in banca; ma forse l’interlocutore, dall’altra parte, non l’ha chiesto oppure la sapeva già.
Quando si è alzato per scendere l’ho visto in faccia e mi sono resa conto che lo conoscevo già, lo avevo già visto.
Esattamente lo avevo visto ad uno sportello dell’ospedale dove mi avevano chiamato, come una sorta di pronto soccorso per calmare e spiegare, perchè il signore in questione si era messo ad urlare e ad inveire contro gli impiegati perchè non intendeva lasciare il consenso al trattamento dei dati (dati che servono solo ed esclusivamente per erogare la prestazione sanitaria).
Questo fatto mi ha portato a pensare alla schizofrenia sociale delle persone; da un lato non vuoi, assolutamente, dire alla persona (tenuto tra l’altro al segreto d’ufficio) che ti deve erogare una prestazione, dal medesimo soggetto richiesta, dati come indirizzo, anagrafica e nascita e dall’altro non ti fai il mimino scrupolo ad urlare su un autobus quasi pieno tutti i tuoi cazzi.
Chissà quale strana concezione ha della privacy questo signore.