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C’è scarsità o sovrabbondanza nella crisi attuale?

Creato il 22 ottobre 2012 da Sviluppofelice @sviluppofelice

C’è scarsità o sovrabbondanza nella crisi attuale?

di COSIMO PERROTTA

Alessandro Roncaglia, attuale presidente della Società italiana degli economisti, di recente ha messo a confronto il concetto di scarsità dei neo-classici (la teoria economica oggi dominante) e quello della linea Smith-scuola classica-Keynes-Sraffa.[1] La scarsità dei neoclassici riguarda solo il singolo. Essa dipende dalla dotazione iniziale di risorse e dal desiderio di un certo bene. Ogni soggetto esprime quindi nel mercato la sua domanda per un certo bene. Il rapporto fra la domanda complessiva e la disponibilità del bene (offerta) determina il prezzo.

Non possiamo seguire la fine analisi di Roncaglia in tutti i suoi complessi passaggi. La conclusione è che nell’impostazione dei neo-classici la scarsità è un dato naturale inspiegabile, e l’accumulazione – cioè la crescita secolare della produzione di ricchezza – non vi ha nessun ruolo.

La scarsità dei classici invece è impostata proprio sulla lotta incessante, avvenuta nella storia, per la produzione crescente di ricchezza. Essa riduce gradualmente la scarsità dei beni. La scarsità si esprime nel costo di produzione; ma questo diminuisce sempre più grazie al progresso tecnico.

I prezzi dei beni quindi sono tanto più bassi quanto maggiore è il progresso tecnico. Quest’ultimo permette di produrre un numero crescente di unità di un bene con lo stesso sforzo di prima (aumento della produttività). Anche qui i passaggi sono molti e complessi, ma quello decisivo è l’ultimo. Secondo l’impostazione di Keynes e quella di Sraffa, c’è un altro fattore, oltre alla tecnologia, che determina il livello di scarsità e quindi i prezzi. Esso è il grado di impiego delle risorse. L’accumulazione è anche una continua lotta contro la persistente sotto-utilizzazione delle risorse, in particolare delle risorse umane.

Già Smith, ricorda Roncaglia, aveva detto che lo sviluppo deriva non soltanto dal livello di produttività del lavoro ma anche dalla percentuale di lavoratori produttivi (quelli che producono profitto) sul totale della popolazione.[2]

Questa conclusione apre la strada ad altre considerazioni. Innanzitutto, che succede se la tecnologia e la capacità di impiego delle risorse porteranno infine alla scomparsa della scarsità? Gli economisti classici il problema se l’erano posto, quando parlavano di “stato stazionario”. Di questo parleremo in un prossimo post.

Inoltre c’è una differenza decisiva tra Smith e Keynes su questo punto. Keynes si preoccupa di eliminare la disoccupazione involontaria (che, con buona pace dei neo-classici, durante le crisi si estende enormemente), Smith invece vuole restringere il più possibile il lavoro improduttivo a vantaggio di quello produttivo.

Ora, nella crisi attuale la sotto-utilizzazione delle risorse umane non si manifesta soltanto nella versione di Keynes, come in genere si crede, ma anche in quella di Smith. C’è, è vero, una crescente disoccupazione, che genera scarsità di domanda e un conseguente calo degli investimenti. Ma questa situazione keynesiana è dovuta a due cause. Una è la concorrenza dei paesi emergenti e la delocalizzazione delle imprese. L’altra deriva da un mercato gravemente distorto.

Nei mercati occidentali di oggi, da una parte, c’è una scarsa offerta di beni che soddisfino bisogni di nuovo tipo (ad es. ambiente non inquinato, fonti energetiche riproducibili, istruzione e ricerca più qualificate, risanamento idro-geologico e urbanistico, trasporti pubblici efficienti, servizi alla persona, ecc.). Dall’altra c’è un eccesso di beni tradizionali ripetitivi, la cui domanda è ovviamente decrescente (ad es. automobili, elettrodomestici, abbigliamento, alimentari, molti prodotti strumentali, ecc.). Su questo eccesso di consumi tradizionali inutili giustamente insistono i critici del consumismo.

Il lavoro improduttivo si annida nella produzione di questi ultimi beni; ed è una vera disoccupazione nascosta dei nostri tempi. E’ vero che Smith attribuiva il lavoro improduttivo ai domestici e alla produzione di lusso.[3] Ma oggi beni “di lusso” sono anche quelli che si continua a produrre in eccesso, e che la moda o la pubblicità inducono a sostituire di continuo. Nell’ottica di Smith ci può essere sotto-utilizzazione delle risorse umane anche in presenza di pieno impiego.


[1] “Different Notions of Scarcity”, Economia politica, 2012/1, pp. 3-18.

[2] Roncaglia spiega: “or in our terms technology and employment” (p. 16).

[3] Ricchezza delle nazioni, l. II, c. 3. Smith lo attribuisce anche alla pubblica amministrazione. Ma, sebbene sia molto esposta al pericolo di sprechi, oggi una P. A. efficiente promuove lo sviluppo.

C’è scarsità o sovrabbondanza nella crisi attuale?
C’è scarsità o sovrabbondanza nella crisi attuale di Cosimo Perrotta


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