[Post scritto per Miss Broadway]
Appartamento. Interno notte.
L’unica luce accesa era quella del bagno. C’era uno specchio grande, con tutte quelle lampadine sopra. E poi c’era quell’altro piccolino, che aveva visto un sacco di volte negli alberghi e che s’era detta che quando avrebbe preso casa da sola sarebbe andata da Ikea e l’avrebbe comprato. L’aveva fatto: era stato il suo secondo acquisto post trasferimento, ché il primo erano state le posate.
Insomma, Libera Professionista era in bagno, davanti allo specchio. Maglioncino, jeans, scarpe alte, ma non troppo. La sveglia del cellulare suonava senza interruzione: aveva già accumulato i quindici minuti standard di ritardo, però sapeva che sarebbe arrivata almeno a trentacinque.
Uscire di casa truccata sin nei minimi dettagli le dava sicurezza, la faceva sentire meno vulnerabile, in perfetta sintonia con il luogo comune secondo cui una donna col naso perfettamente incipriato si sente più forte. Prima di decidere di mettersi a lavorare in proprio, in ufficio ci andava sempre come si svegliava la mattina e perfino la segretaria del capo, che era un esserevivente-cliché pure lei, la trattava con sufficienza. Cambiato il datore di lavoro aveva pure cambiato abitudini, ma non taglio di capelli, ché figurarsi se li accorciava quegli spaghetti neri lunghi fino a metà schiena.
Libera Professionista aveva appena preso la pochette Miss Broadway con tutti i suoi prodotti e stava là a stendere il fondotinta con le dita, un po’ per nascondere le rughe precoci, un po’ per cancellare le occhiaie, gentile donazione della cara amica insonnia. Poi la cipria, con quel cuscinetto che le era sempre sembrato fuori dal tempo, uscito da un film anni ’50, e il fard sulle guance. A quel punto s’era avvicinata allo specchio, sporgendosi oltre il lavandino. Con l’indice aveva stirato la palpebra dell’occhio destro e ci aveva messo un po’ di base illuminante, aveva aspettato che si asciugasse e, col pennellino, aveva aggiunto un ombretto rosa e uno più scuro vicino al sopracciglio curato. Quindi, stessa cosa per l’occhio sinistro.
S’era fermata a guardarsi. Sì, andava bene. Quando si truccava gli occhi in quel modo a lui piaceva, non era il tipo che ama particolarmente le donne acqua e sapone. Kajal, eye liner, due passate di mascara.
La matita bordeaux per il contorno labbra (da mettere in borsa, ché un ritocco prima di scendere dalla macchina…) e poi il rossetto, quello rosso rosso rosso e brillante, che lei adorava passarlo lentamente sulle labbra e vedere come le pieghe piccole, piano piano, si riempivano e rendevano la sua bocca lucida e formosa. Magari lui l’avrebbe morsa, o magari l’avrebbe baciata e basta, o magari tutt’e due.
Sullo specchio, nel frattempo, il suo alito caldo aveva creato una patina opaca. S’era allontanata dal vetro, l’aveva pulito distrattamente con un colpo della mano e aveva lasciato tutto là, sul lavandino: matite, stick, flaconi, creme e scatoline piccole e colorate. S’era guardata un’ultima volta e poi aveva spento la luce.
Appartamento. Interno notte.
Una porta che sbatte e rumore di tacchi sulle scale.