Dicevo, una volta superato lo sbigottimento di vivere in un Paese in cui le dimissioni, anche quelle più sacrosante, sono sempre un trauma sul quale ci si riesce a dividere politicamente, l’abbandono di Terzi sembra il giusto epitaffio per un governo di esperti, competenti e acclamati professori che in realtà ha rivelato l’inconsistenza di una classe dirigente cooptata e nemmeno sfiorata dalla brezza meritocratica. Dalla incredibile farsa dei marò, alla vicenda degli esodati, alla incapacità di difendere il Paese di fronte alle demenziali filosofie europee e agli interessi di Berlino, alla confusione e incertezza con cui molti problemi sono stati affrontati fino all’infingardaggine con cui si sono continuati a tessere i rapporti di potere e di affari: tutto parla di una irredimibile mediocrità.
Finché la pochezza rimane dentro un milieu politico che bene o male è strutturato dentro un sistema di interessi di apparato e di consenso in qualche modo omogeneo alle anomalie italiane, essa rimane poco visibile e paradossalmente viene persino nascosta dalle esplosioni di scandali e ruberie che sono il danno collaterale della mancanza di idee, progettualità e prospettive. Ma diventa evidente quando a prendere direttamente le redini sono i consigliori, gli intellettuali di riferimento o di contrasto, gli accademici di conforto essa risalta a tutto tondo.
Ora il problema è di capire se questa mediocrità riflette quella del Paese o è confinata dentro la piccola galassia di potere che da Berlusconi a Confindustria, dalle cooperative ai sindacati, da Mediobanca al Vaticano, dai giornaloni alle televisioni costituisce il groviglio italiano, senza dimenticare l’influenza sottotraccia della criminalità organizzata. Se insomma i cittadini si aggirino disorientati e incazzati tra le macerie o ne siano essi stessi parte. Se non c’è anche un Terzi nel nostro super io.